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     n. 20 anno 2019

Presepe in crisi

di Paolo Iacci

di Paolo Iacci

"Negli ultimi anni abbiamo assistito a una contrazione dell'interesse verso il presepe. Minori visitatori, minori offerte, budget necessariamente meno ricchi. A questo punto non possiamo evitare di prendere alcuni provvedimenti, ancorché dolorosi.

Con specifico riferimento all'allestimento del presepe 2019, con decorrenza immediata si dispone che:

- il bue e l'asinello appaiono palesemente in esubero. Solo uno dei due, a turno, dovrà assicurare la presenza nella grotta. Eventuali problemi di temperatura interna dovranno essere risolti con specifiche coperte;

- il soggetto rimanente, in ogni caso, a partire dal giorno della Befana dovrà essere allocato su un differente progetto come l'intervallo televisivo o altri intrattenimenti con maggiori potenzialità remunerative:

- nel contesto del nuovo progetto di presepe, anche San Giuseppe non sembra avere sempre una funzione determinante. In tal senso si dispone che a turno possa sostituire almeno uno dei due angeli presenti. Uno di essi, conseguentemente, dovrà essere considerato in esubero;

- i pastori adoranti avranno a disposizione una sola pecorella a turno;

- per la riduzione dei costi è previsto lo spegnimento della cometa a partire dalle ore 22;

- l'intervento dei re magi decorrerà contrattualmente solo a partire dall'anno fiscale 2.020; inoltre come mezzo di locomozione per il ritorno useranno il bue o l'asinello, come già specificato in uno dei punti precedenti;

- per evitare inutili affollamenti nel suddetto periodo vengono sospese le conversioni e le attività di proselitismo religioso. Si prega inoltre l'amministrazione di considerare il leasing della mangiatoia e della culla in alternativa all'acquisto."

Non si può più stare tranquilli, nemmeno a Natale!

Dal 2008 stiamo vivendo una crisi occupazionale costante che ha visto momenti di maggiore o minore tensione, ma che prosegue ormai da più di dieci anni. Mentre altre economie possono dire di esserne uscite, o magari di avere avuto altri momenti di tensione occupazionale a cui sono però seguiti momenti di significativa crescita, il nostro Paese non è finora riuscito ad avere mai un momento di reale e significativa ripresa.

Il protrarsi di questo stato sta determinando il consolidarsi di comportamenti di assuefazione alla crisi. Quest'ultima è ormai diventata un ospite costante che siede con noi a cena nelle case e ad ogni riunione nei posti di lavoro. Ci siamo come assuefatti al suo persistere, come un elemento ineluttabile che condiziona ogni possibile azione in senso contrario. Anche se lavoriamo in un'organizzazione che sta vivendo un buon momento di prosperità e di crescita, nel nostro intimo sappiamo che questo potrà finire da un momento all'altro e che la situazione potrebbe cambiare indipendentemente dalla nostra singola performance.

È come viaggiare con il freno a mano sempre innescato. Ogni imprenditore tentenna di fronte ad un investimento di lungo periodo, ogni famiglia sa che il suo bilancio potrebbe peggiorare nel giro di poco tempo e cerca di risparmiare per il tempo che verrà.

Da tempo si dice che abbiamo smesso di essere un popolo "desiderante". Già il Rapporto Censis del 2010 lo individuava come il più forte elemento di freno alla crescita e alla ripresa sociale ed economica del Paese. Quello che ci paralizza è qualcosa di più profondo della contabilità economica o di un trend che va storto: è un grumo sotterraneo, che annoda il rapporto fra desiderio e legge producendo una società priva dell'uno e dell'altra. Desiderio e legge o vivono in una tensione reciproca o muoiono entrambi.
Non è di autoritarismo che ci sarebbe bisogno ma di autorevolezza della classe dirigente. Purtroppo «non esistono in Italia quelle sedi di auctoritas che potrebbero o dovrebbero ridare forza alla legge». «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita». Senonché anche il desiderio non si lascia rilanciare da un'esortazione né tantomeno da un dovere civile. Occorre ripartire dal basso, per riannodare i fili di una società sfilacciata e prostrata. Il mondo del lavoro in questo processo "dal basso" svolge un ruolo fondamentale. Il lavoro è la base della società adulta, è prima di tutto il più significativo terreno di aggregazione e di pulsione positiva. Dobbiamo ripensare alla nostra singola attività produttiva non solo come inevitabile momento di guadagno contingente ma con una finalità sociale più alta. Ricordiamoci sempre la metafora dei tre scalpellini. Il primo pensa di spaccare delle pietre, il secondo di erigere un muro, il terzo di essere parte della costruzione di una cattedrale. Apparentemente tutti e tre stavano spaccando pietre, ma solo il terzo ne vedeva il fine ultimo e poteva trovare nel lavoro una fonte di riscatto personale più profonda.

Dobbiamo ritrovare la possibilità di rivedere quella cattedrale, come spinta individuale ma anche elemento di aggregazione collettiva, per costruire una rinascita dal basso senza la quale il Presepe non riuscirà mai ad uscire davvero dalla crisi.

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