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     n. 1 anno 2019

Prigionieri del presente

Autori, Giuseppe De Rita e Antonio Galdo
recensione di Andrea Castiello d'Antonio

Einaudi, 2018. Pp. IX+95, Euro 14,50

Il titolo di questo intrigante testo evoca una delle (tante) problematiche che coinvolgono manager e leader nel mondo delle aziende produttive: la gestione del tempo che è, alla base, il modo in cui la persona non solo "tratta" il proprio tempo di lavoro, ma come lo vive e lo interpreta. La modernità incide su un gran serie di fattori ed uno di questi è l'accelerazione: ecco dunque emergere ciò che è definita la nuova forma di schiavitù ben rappresentata dalla frantumazione del tempo (di lavoro, ma direi di vita in senso generale) che propone e si propone al soggetto sotto forma di una serie senza fine di atti ed eventi sequenziali. Il presentismo, ben esemplificato da questo passaggio: "nel Duemila eravamo capaci di prestare attenzione a una cosa, a un discorso, a un problema, per 12 secondi consecutivi. Adesso a stento riusciamo ad arrivare a 8 secondi... Siamo meno concentrati dei pesci rossi, in grado di fissare la loro attenzione su un oggetto per 9 secondi consecutivi" (p. 31). Il presentismo conduce anche ad una visione monodimensionale e piatta, all'essere completamente concentrati sull'oggi, ma non nel senso positivo e costruttivo che insegnano le filosofie orientali, bensì nel senso povero e cieco di chi si occupa di un oggetto dopo l'altro, perdendo la visione del futuro, mettendo da parte la memoria, fino a giungere ad una sorta di atrofia concettuale.

Diviene evidente l'impatto che il cosiddetto multitasking può avere - e, di fatto, ha - sulle modalità di lavoro e sul complesso della vita di lavoro, soprattutto se incarnata da soggetti che hanno responsabilità gestionali e decisionali. Aggiungo al proposito che, evidentemente, a nulla sono serviti gli ammonimenti degli studiosi ed esperti (veri!) delle discipline umanistiche che hanno fin dall'inizio avvertito sui limiti della mente umana e sul modo in cui la mente "funziona" - o funziona in modo ottimale: una modalità che non ha nulla a che vedere con il multitasking. Può anche essere affascinante (per alcuni) considerare il manager come un robot altamente sofisticato, come una "rete neurale", come un essere razionale che funziona on demand, o come una "macchina da guerra" finalizzata agli immancabili obiettivi, ma tutto ciò non considera la natura di base e reale dell'essere umano, compreso il suo perenne (anche se certamente variamente diffuso e delineato) bisogno di stabilità e di sicurezza.

Tornando al libro di De Rita e Galdo la riflessione si snoda al di là della degradazione del parametro temporale prendendo in esame i cambiamenti (in peggio) del linguaggio - visibilissimi nel mondo del lavoro, purtroppo... - il falso mito del progresso, gli effetti nefasti della finanziarizzazione della vita produttiva, alcuni cambiamenti meno appariscenti del mondo del lavoro, e l'emergere della precarietà, dei "lavoretti", sullo sfondo dell'onnipresente "sommerso", fino a citare il sociologo francese Alain Touraine circa la fine della società postindustriale e l'avvento della società postsociale. Un quadro allarmante in cui si erge l'individuo ma non nel senso auspicato da tanta letteratura di gestione e sviluppo del capitale umano - la persona al centro oppure, come si diceva decenni fa, passiamo dalla Direzione del personale alla Direzione per il personale... - bensì nella forma dell'individualismo sullo sfondo di un tessuto sociale, e socio-organizzativo, lacerato. Nonostante tutto, il libro si chiude con un cenno di speranza e con l'invito a riflettere sulla disconnessione tra passato e futuro, riprendendo possesso della vita nella sua continuità esistenziale e, direi, civile.

 

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