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     n. 14 anno 2018

Decreto Dignità, buone ragioni per un confronto aperto

di Paolo Iacci

Una storiella ebraica, riportata dal noto psicanalista J. Hillman, racconta di un padre che vuole insegnare al figlio ad avere più coraggio. A questo scopo, un giorno decide di metterlo in piedi sul secondo gradino di una scala e gli dice:
"Salta, che ti prendo".
Il bambino salta e il padre lo accoglie fra le braccia.
E poi di nuovo, lo fa salire sul secondo gradino della scala: "Salta che ti prendo".
Il gioco va avanti per un po' finché il padre improvvisamente si tira indietro e il bambino cade lungo e disteso. Mentre il bimbo piangente si rimette in piedi, il padre si dimostra contrito, non ride per lo scherzo, che di scherzo non si tratta, ma, al contrario, molto serio, gli dice:
"Così impari a non fidarti a priori di nessuno, neanche di tuo padre".
Nella storia proposta, il gesto del padre, nella sua piccola crudeltà, recide volontariamente il patto di fiducia costitutivo del rapporto genitoriale e facendo provare al figlio la condizione dell'abbandono, cerca di instaurare un nuovo tipo di relazione, più contrattata e per questo più "adulta". Questa implica inevitabilmente la differenza, l'alterità, l'incertezza e la precarietà, tutte condizioni proprie dell'esistenza umana adulta. L'episodio è ovviamente discutibile e non voglio indicarlo ad esempio. Nondimeno questa storia ha il pregio di ricordarci che la precarietà è un tratto insito e imprescindibile della vita adulta.
In Italia (e in pochi altri Paesi) per alcuni decenni nel dopoguerra abbiamo goduto di un periodo estremamente particolare, mai vissuto prima, in cui le persone hanno potuto percepire un senso di grande stabilità in ambito lavorativo. Questo è avvenuto in una fase molto particolare di una società uscita dalla grande guerra, con un ciclo economico fortemente espansivo e con la possibilità di determinare un debito pubblico che però oggi ci grava addosso come un macigno. Si tratta di una situazione economica purtroppo non ripetibile.
L'idea quindi di ripristinare la stabilità professionale con un colpo di penna su un decreto di legge è irrealistica. Come il figlio della storiella di Hillman anche noi stiamo subendo un trauma. Ne usciremo solo quando ci convinceremo che la stabilità per legge non è possibile (se non a costi proibitivi come dimostra la nostra PA) e che un adulto si può reggere in piedi solo con le sue forze. Questo vale per ogni aspetto della vita, compreso quello professionale. Assicurare la rivendibilità sul mercato del lavoro vuol dire allora garantire/costringere a un continuo aggiornamento professionale e non obbligare le imprese a tenersi anche chi purtroppo non serve più. Dobbiamo organizzare e sostenere l'incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro, non, ad esempio, rendere difficile la vita alle società di somministrazione che nei fatti oggi stanno svolgendo proprio questo compito.
L'idea di garantire la stabilità del posto di lavoro per decreto, rendendo sempre più complessa l'operatività delle imprese è controproducente. Ad esempio, nel caso dei contratti a termine, per evitare causali non chiare e quindi un sicuro contenzioso le imprese reagiranno bloccando per quanto possibile i rinnovi alla fine del primo anno. Questo non determinerà un incremento dell'occupazione stabile ma, al contrario, innescherà la giostra dei continui cambi di azienda per tutti i lavoratori a termine. Di conseguenza maggiori costi per le imprese e soprattutto una vita assai più difficile per tutti i giovani, soprattutto al Sud.
Detto questo, crediamo però che il cosiddetto "Decreto dignità" parta dall'aspirazione, assolutamente condivisibile, di dare maggiore protezione ai lavoratori e impedire abusi verso chi più di altri subisce gli effetti negativi della globalizzazione dei mercati. La realizzazione tecnica ci sembra vada in senso opposto ma vi è a nostro avviso ancora un deficit di approfondimento concreto. Come AIDP non sposiamo alcuna posizione politica ma esprimiamo solo considerazioni di carattere pratico. Per vocazione e per statuto siamo aperti al confronto con tutti. Chiediamo quindi anche a questo nuovo Governo un sistematico confronto preventivo sui temi del lavoro per portare il punto di vista pratico degli operatori del settore. Non chiediamo né poltrone né prebende ma solo la possibilità di dare un contributo fattivo alla crescita del nostro Paese. Non ci pare poco.

 

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