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     n. 17 anno 2016

Che "bisogno" c'è?: Buone prassi per l'analisi delle esigenze formative

di Federico Bencivelli

Il tema dell'analisi dei bisogni formativi nelle organizzazioni è da sempre complicato.

Sia per la concreta difficoltà di tradurre nella pratica approcci teorici e metodologici per loro natura complessi, sia per la perdurante resistenza a considerare la formazione come un processo che non si esaurisce tout court con la realizzazione del corso. Sulla scia di queste considerazioni cerchiamo di dare una definizione sistematica a questo problema.

In primo luogo può aiutare qualificare questa attività come una ricerca finalizzata all'acquisizione di dati e informazioni utili ed attendibili, per proseguire o meno nelle fasi successive del processo formativo: la progettazione di dettaglio ovvero l'individuazione degli obiettivi didattici e conseguentemente dei contenuti e dei metodi più coerenti con gli obiettivi dichiarati.

In secondo luogo occorre affrontare alcune questioni.

  • di tipo metodologico - gli strumenti e le tecniche più congruenti rispetto allo specifico oggetto di indagine.
  • di tipo classificatorio - la definizione precisa dell'oggetto di indagine: cosa intendiamo per bisogno di formazione?
  • di tipo istituzionale - entro quale contesto relazionale l'indagine non solo si svolge ma contribuisce essa stessa a definire. Contesto che vede coinvolti parallelamente gli esperti (formatori, progettisti, HR specialist), i partecipanti (o un loro "campione rappresentativo") e i committenti (i referenti aziendali).

Quest' ultimo punto viene spesso sottovalutato ma rappresenta un aspetto cruciale, che risulta soprattutto dal riconoscimento che il processo formativo non avviene in un vuoto sociale. Da ciò risulta chiaro ed evidente che il problema della analisi dei bisogni formativi non può essere affrontato unicamente sul piano della definizione degli obiettivi di indagine o degli strumenti da utilizzare. Deve essere esplorato a partire dal complesso contesto di relazioni organizzative che fa da sfondo al processo formativo.

E' tuttavia indispensabile far precedere a questa disamina qualche considerazione sul concetto di bisogno formativo.Bisogno è la discrepanza fra ciò che è ciò che dovrebbe essere, perciò non può essere definito in modo preciso se non sono noti e chiari lo stato attuale e quello auspicabile.Una volta stabiliti i due termini, è fondamentale porsi la domanda se la discrepanza possa essere effettivamente rimossa attraverso l'attività formativa.I bisogni formativi si riferiscono a competenze o performance carenti che non consentono alle persone di rispondere adeguatamente alle richieste di ruolo.Possono essere percepiti e segnalati direttamente dalle persone così come dai loro diretti interlocutori (i capi in primis).I bisogni formativi percepiti dalle persone tuttavia possono essere reali o in parte mescolati ad aspirazioni (ancorché legittime) di riconoscimento, di crescita di responsabilità.Al tempo stesso quelli espressi dal committente possono a volte risentire di una volontà gerarchico/ istituzionale tendente ad uniformare i comportamenti.I committenti possono unire alla propria analisi soggettiva dei bisogni formativi, altre letture improprie, legate a bisogni personali: comando, controllo, immagine.

In linea generale richiesta espressa da un committente si compone sempre di 2 elementi di natura psicologica.

Il primo consiste nella rappresentazione mentale di un bisogno generico, di una carenza non ben precisata rispetto a problemi di tipo organizzativo. Il committente prova una sensazione di disagio che tende a celare attraverso reazioni difensive che vanno da una sorta di onnipotenza ad una totale abdicazione.

Accanto ad esso esiste un secondo elemento, un assunto di speranza, dai contorni vaghi, che "una soluzione esiste". Indubbiamente chi si pone nel ruolo di specialista all'interno nella relazione triangolare con committente e partecipanti deve fare leva su questo secondo elemento per cercare di gestire il primo, ricordando che l'obiettivo prioritario della formazione non è sostituirsi ai soggetti presenti nell'organizzazione, ma potenziarli.

Compito dello specialista (interno od esterno) perciò è essere non solo in grado di applicare strumenti di ascolto organizzativo (questionari, interviste) per stabilire quali sono gli effettivi bisogni delle persone e dell'organizzazione che possono essere soddisfatti dall'attività formativa.

Dovrà anche saper negoziare il risultato di questa diagnosi con i soggetti coinvolti, riuscendo a scorporare dal processo formativo i bisogni che i soggetti percepiscono ed esprimono ma che non dipendono da lacune o gap di competenze.

Il risultato di questa "negoziazione" dovrebbe concretizzarsi nelle definizione degli obiettivi generali dell'attività.

In sintesi: l'analisi dei bisogni in 3 mosse

Proviamo perciò a riepilogare i passaggi cruciali per un'analisi efficace dei bisogni formativi.

1) Empowerment della committenza
Il potenziamento del committente passa attraverso l'accettazione concreta della sua diagnosi, da parte dell'esperto. E' nella maturità professionale dell'esperto rendersi conto che per quanto la diagnosi del committente sia parziale, precaria, spesso proiettiva, essa è estremamente importante per lui, perché è il mezzo con cui governa il proprio senso di bisogno. Avere la percezione di un bisogno generico genera ansia da perdita di controllo della situazione. Identificare una causa, anche se generica o parziale, consente di stare meglio.Occorre elaborare insieme al committente la sua diagnosi, fornendogli un quadro di riferimento metodologico e concettuale che gli consenta di accettarne la parzialità.In un certo senso è opportuno fare con il committente un lavoro preliminare di identificazione del campo di diagnosi del sistema, centrato proprio sulla sua diagnosi implicita. Se come esperti siamo riusciti a far accettare al committente la parzialità delle sue diagnosi, sarà il committente stesso a riconoscere da solo che i suoi obiettivi possono eventualmente essere modificati e questa fase può ritenersi conclusa.

2) Coinvolgimento dei partecipanti
In un rapporto professionale deontologicamente corretto è opportuno non rovesciare sui possibili utenti le eventuali carenze identificate dalla committenza, ma rilevare i loro problemi e confrontarli con la diagnosi fatta da quest'ultima. Occorre in sostanza realizzare un passaggio delicato ma indispensabile: la trasformazione dell'utenza in committenza.Difficilmente una attività formativa avrà successo se prima non abbiamo conquistato un certo grado di consenso dai fruitori diretti.

3) Ipotesi diagnostica condivisa
La terza ed ultima fase del processo di analisi è l'ipotesi diagnostica condivisa, il momento in cui le varie parti riconoscono l'altro come portatore di una visione realistica, anche se parziale, dell'organizzazione. Questo è il momento in cui presentare le diverse percezioni della realtà anche se il processo di assunzione della committenza e dell'utenza dovrebbe aver consentito di assorbire i conflitti in una dimensione di progettualità, in cui tutti possono trovare una risposta ai problemi formativi reali.Perché sia possibile il riconoscimento reciproco occorre tener conto di un altro aspetto rilevante: la accettabilità della diagnosi. La diagnosi deve essere accettata perché solo il consenso abilita la formazione.

Concludendo, la (buona) analisi dei bisogni formativi dipende non solo da tecniche o strumenti ma da una più vasta dimensione e cultura professionale, fatta di consapevolezza, sensibilità e capacità che consente di padroneggiare le tecniche esprimendo, attraverso il loro impiego, ciò che è funzionale agli obiettivi che si intendono perseguire.

Federico Bencivelli
Senior Consultant e Executive Coach ACC- ICF

 

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