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     n. 9 anno 2018

Molestie sui luoghi di lavoro, riforme e dati

di Ilaria Li Vigni

di Ilaria Li Vigni

La dipendente o il dipendente che denunci il datore di lavoro, per molestie sessuali e conseguenti discriminazioni, non può più essere licenziato o trasferito salvo sia in malafede e, quindi, abbia consapevolmente dichiarato il falso.

Tra le importanti novità, contenute nella Legge di bilancio 2018, vi sono due nuove norme volte a tutelare chi agisce in giudizio per molestie o molestie sessuali sul luogo di lavoro e contro le conseguenti discriminazioni.

Vediamo cosa dice la nuova legge.

In realtà, la manovra di fine anno 2017, in vigore dal 1° gennaio 2018, va a modificare la normativa già esistente e, in particolare, il cosiddetto «codice delle pari opportunità tra uomo e donna».

Vengono inseriti due nuove previsioni.

La prima è volta a ricordare come obbligo del datore di lavoro, ai sensi del codice civile, sia quello di assicurare condizioni di lavoro tali da garantire integrità fisica e morale e dignità dei lavoratori, anche concordando, con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune per prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.

Imprese, sindacati, datori di lavoro, lavoratrici e lavoratori si impegnano ad assicurare il mantenimento, nei luoghi di lavoro, di un ambiente in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza.

Detto ciò, la legge di bilancio 2018 dispone una nuova e specifica tutela per chi agisce in giudizio, per aver subito una molestia o molestia sessuale in azienda.

La nuova norma prevede che la lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio, per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale sul luogo di lavoro, non possa essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa, avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro se tale misura è la conseguenza della denuncia stessa.

L'eventuale licenziamento ritorsivo o discriminatorio nei confronti della lavoratrice o del lavoratore denunciante è nullo e questi ha diritto, non già al risarcimento del danno, ma alla reintegra sul posto di lavoro, nonostante le modifiche del Job Act.

Allo stesso modo sono nulli anche il mutamento di mansioni nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante.

La nuova norma termina con questa precisazione, "la predetta tutela non è garantita nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l'infondatezza della denuncia".

La necessità di distinguere le ipotesi della «calunnia» da quella della «infondatezza della denuncia» lascia pensare.

Come è noto, la calunnia si ha solo in caso di malafede, ossia se chi agisce ben conosce l'altrui innocenza, l'infondatezza, invece, sembra richiamare le ipotesi di assenza totale di condizioni che rendano credibile la denuncia stessa.

Sarà difficile trovare margini di operatività per tale ipotesi atteso che, nel processo penale, la dichiarazione della vittima è essa stessa prova.

Ricordiamo peraltro che, secondo la Cassazione, per dimostrare le molestie sessuali del datore di lavoro, il giudice potrebbe basarsi anche sulle conferme di altre lavoratrici che abbiano subito lo stesso "trattamento", in tal caso ritenendo raggiunta la prova.

Al di là delle questioni interpretative che saranno chiarite dalla giurisprudenza, chi scrive ritiene che tale surplus di tutela, anche processuale, per le molestie sui luoghi di lavoro sia importante per tutelare il benessere di ogni comunità lavorativa, spesso, pesantemente danneggiato dalle molestie.

I numeri parlano chiaro.

Secondo i dati Istat 2017, durante la propria vita lavorativa il 43,6% delle donne, in Italia, ha subito una qualche forma di molestia sessuale e più dell'80% non ha avuto il coraggio di denunciare quanto accaduto.

Quadro allarmante quello descritto dall'Istat nel report su molestie e ricatti sessuali sul luogo di lavoro, se si pensa poi che, nella maggior parte dei casi, il ricatto avviene al momento dell'assunzione o quando ci si trova di fronte a una progressione di carriera.

Solo negli ultimi 3 anni le donne molestate sono state pari al 15,4% del totale e al 7% nel corso dell'ultimo anno.

Con tali premesse, si ritiene, quindi, giusto l'ingresso di una legge che consenta di tutelare lavoratrice e lavoratore, oggetto di molestie, anche da un punto di vista processuale, ma, ancor più importante sarà lavorare sulla prevenzione, svolgendo, nelle aziende, corsi formativi finalizzati al rispetto reciproco del ruolo, tra datore e dipendente e tra dipendenti stessi, alla base di ogni convivenza civile in qualsiasi comunità.

avv. Ilaria Li Vigni
Studio Legale Li Vigni 

 

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