hronline
     n. 10 anno 2018

Contro Canto n. 101 (stimoli da 612 a 616)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

PRECARIETÀ, e la scarpa non se la fa più col piede (612)
La prima volta che ho parlato con un direttore del personale mi ha detto: «Le do un consiglio: non si affezioni a nessuno». Era il 1999, mi ero laureato da poco, e il tempo che avevo lo impiegavo per il 50% a cercare un lavoro e per l'altro 50 a tenere in piedi i lavoretti con cui mi barcamenavo. (...) Quando il direttore del personale mi aveva dato quel consiglio (consiglio che io, avevo pensato, avrei dato soltanto a un plotone di reclute in partenza per il fronte) avevo chiesto: «Perché?». Il direttore del personale aveva fatto il giro della scrivania, mi aveva dato una pacca sulla spalla, una stretta di mano, e poi mi aveva detto: «È un discorso troppo lungo, lo capirà da solo». (...)
L'espressione ‘allacciare rapporti' è quella che secondo me illustra di più la natura dei legami: allacciare una persona a un'altra, come fa la scarpa col piede, diventare complementari. Il «Non si affezioni a nessuno» nega tutto ciò, perché sottende la riduzione di una relazione alla sola funzionalità, elimina il camminarci dentro, la scarpa. Elimina il fatto che a camminarci dentro per un po', il piede si conquista la scarpa, la piega alla propria conformazione, alla postura, al calore, la rende affezionata, in qualche modo. Ma il mio direttore del personale parlava di rapporti di lavoro, non di scarpe da allacciarsi intorno ai piedi e vedere come stanno. E, ripeto, è bastato poco per capire quale fosse il significato di quell'invito a non affezionarsi a nessuno. (...)
Voglio dire, io credo che alla base ci sia un'idea diversa del lavoro, che ha smesso di essere una garanzia perché si è innestata un'ideologia che tende a trasformare il rischio in un valore, l'incertezza in un paradigma di sviluppo. E non solo nel mondo del lavoro. È un'ideologia che tende a trasmettere l'idea che ciò che è a rischio, ciò che è a scadenza, ciò che succede solo una volta, ha un valore infinitamente superiore a ciò che si consolida, che sta lì da tempo. Proprio per la sua natura di eccezione, di eccezionalità. Quel modo di lavorare nevrotico, quei rapporti sempre più funzionali tra le persone, nelle aziende, riguardano sempre di più tutti i lavoratori che ci lavorano dentro, stabili o precari che siano. lo credo che questo sia un cambiamento epocale, nel modo di percepire il lavoro e i rapporti di lavoro. Da sempre il lavoro è stato un grande vettore di socialità, ora sta smettendo di esserlo. I momenti di socialità li decide l'azienda, li convoca, allestendo grotteschi momenti di festa aziendali, in cui tra palloncini, torte coi nomi, power point euforici, abiti casual e mariti e mogli addobbati per l'occasione, si chiede ai dipendenti di scambiarsi vistosi segni di pace, a suggello della politica di socialità che l'azienda porta avanti. Una socialità sbandierata, comunicata, fatta pubblicità. Questo mi sembra stia succedendo nei rapporti tra le persone in ufficio. E con ogni evidenza è ben diverso dall'idea di ‘allacciare' rapporti, è ben diverso da quello che fa la scarpa col piede. (Andrea BAJANI, scrittore, La precarietà degli affetti, ‘D la Repubblica delle Donne', 19 maggio 2007).

QUALITÀ, ma se non ci sono più i mestieri... (613)
Non devi arrabbiarti se il cameriere ti porta la colazione venti minuti dopo l'ordinazione, e gli cadono le posate per terra. Non può fare di meglio, perché non è un cameriere. Devi avere pazienza, nella lunga coda davanti alla cassa del posto di ristoro: la cassiera deve chiedere ai baristi (gridando) come diavolo funziona la cassa. Perché non è una cassiera. Allo stesso modo il giovane installatore (in sub-sub-appalto) che deve passare le fibre ottiche dal cavedio condominiale al tuo appartamento ci mette mezza giornata perché non sa bucare il muro e teme di fare danni: perché non è un installatore. E la gentile ragazza del call-center, poveretta, per forza non è capace di darti alcuna indicazione su come affrontare il tuo black-out sul sistema satellitare: perché non è un tecnico.
Sono alcuni esempi tra i tanti, esperienza personale degli ultimi mesi. Diretta conseguenza del dilagare del lavoro precario, e cioè, detto brutalmente, della fine dei mestieri. Del precariato si parla molto, e giustamente, in relazione alle condizioni dei giovani lavoratori: le cui prospettive di futuro sono opache e ansiogene. Molto meno si parla dell'inevitabile peggioramento dei servizi di ogni ordine e grado. E cioè della ricaduta del precariato sui tanto nominati ‘consumatori', che in teoria sarebbero il motore virtuoso di ogni sviluppo, di ogni ripresa, ma in pratica (insieme ai precari) sono quelli che pagano il prezzo, salato, della dequalificazione del lavoro. Della fine dei mestieri.
Poiché niente accade per caso, e cioè senza che un interesse cospicuo e potente lo faccia accadere, se ne deve desumere, ragionando a spanne, che dei 3 soggetti coinvolti nel fenomeno (aziende, lavoratori, consumatori) almeno uno trae enormi vantaggi economici dal ricorso sempre più massiccio al lavoro precario. Gli altri due - lavoratori e consumatori - si fronteggiano, spesso acidamente, sul terreno impoverito di una fornitura d'opera che non può essere che scadente. (...)
Non so se esistano studi o valutazioni sull'impatto della fine del lavoro sui servizi. Sui costi, sui disservizi, sulle nuove, impreviste distanze che separano il fruitore di un servizio dall'erogatore. Quello che è certo è che, quando ti trovi davanti a un ragazzo o una ragazza incapaci di svolgere il proprio lavoro, il rapporto non è tra vittima e carnefice. E' tra vittima e vittima, è tra il lavoratore dequalificato e il cittadino malservito. Il carnefice, restando in metafora, è lontano anni luce, in Consigli d'amministrazione che valutano soddisfatti il calo del costo del lavoro. E non calcolano il calo della qualità della vita, e la perdita di dignità, di chi lavora male, e di chi riceve il frutto avvelenato del cattivo lavoro, pagandolo come se fosse buono. (Michele SERRA, giornalista e scrittore, I mestieri perduti dei nuovi precari, ‘La repubblica', 25 maggio 2007).

LEGGERE, se vuoi potere (614)
Chi legge acquista potere sul linguaggio, chi guarda solo la televisione lo perde: l'informazione tv è un collage di pezzi d'informazione di cui abbiamo bisogno sul momento, ma non successivamente. Ciò che ci serve per crescere, invece, è un'informazione che dura, continua, che prende forma dentro di noi: abbiamo bisogno della lettura. Il passaggio dal linguaggio all'immagine non è un passaggio positivo per la libertà individuale. Se si perde il rapporto con la lettura, evapora anche l'identità. (Derrick DE KERCKHOVE, sociologo canadese, intervistato da Giuliano Aluffi, ‘D la Repubblica delle Donne', 19 maggio 2007).

FAMIGLIA, basta retorica (615)

E poi il trionfalismo, la retorica sulla famiglia bene supremo della società. Non sempre per fortuna. La famiglia per la continuazione della specie, per la formazione e l'esistenza della nazione, d'accordo, ma anche la famiglia come freno della perenne rivoluzione sociale, come ostacolo alla conoscenza. Chi ha raccolto le sfide della vita sa che nei momenti decisivi ha dovuto disattendere o disobbedire ai legami della famiglia. La sera che me ne andai da casa per raggiungere la guerra partigiana dissi ai miei: «Sappiate che se vi arrestano o vi perseguitano io non scenderò dalla montagna per costituirmi». (Giorgio BOCCA, giornalista e scrittore, rubrica ‘L'antitaliano', ‘L'espresso', 31 maggio 2007).

CULTURE, comprenderle (non spiegarle) (616)
C'è un solo modo per comprendere un'altra cultura. Viverla. Trasferirsi in essa, pregare di essere sopportato come ospite, imparare la lingua. Così, forse, prima o poi arriverà la comprensione. Sarà sempre muta. Nell'istante in cui si comprende l'estraneo, si perde il bisogno di spiegarlo. Spiegare un fenomeno significa allontanarsi da esso. (Peter HØEG, scrittore danese, Il senso di Smilla per la neve, 1992, romanzo, Mondadori, Milano, 1994).

Massimo Ferrario, Consulente di Formazione e di Sviluppo Organizzativo, responsabile di Dia-Logos 

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®