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     n. 8 anno 2017

Riforma della dirigenza pubblica: occasione perduta o nuovo inizio?

di Marco Crescimbeni

La recente battuta di arresto imposta dalla sentenza n. 125/2016 della Corte Costituzionale al progetto di riforma della dirigenza pubblica (riforma Madia) offre l'occasione per una riflessione sulle contraddizioni e sulle difficoltà fino ad oggi incontrate per la introduzione di scelte privatistiche e aziendali nella gestione della dirigenza della pubblica amministrazione e, più in generale, sulla possibilità di una effettiva continuità di richiamo all modello privatistico di regolazione dei rapporti di lavoro in ambito pubblico.

Più precisamente la domanda è se è ancora possibile affermare e/o confermare che il modello di dirigenza nella pubblica amministrazione trova significative consonanze (se non vera e propria assimilazione) tra disciplina in ambito pubblico e disciplina in ambito privato, basate su competenza , autonomia manageriale e responsabilità per i risultati di efficienza produttiva.

A ben vedere si tratta del contrasto tra la visione classica della pubblica amministrazione caratterizzata dal perdurare (per taluni aspetti ineludibile) del mantenimento di elementi tipici del rapporto pubblicistico (in particolare nella fase del reclutamento e dell'accesso) ed una visione più flessibile( e semplice) fondata sulla unificazione normativa (che ha visto ultimamente sempre maggiori discontinuità con interventi legislativi ritenuti non sempre o non pienamente applicabili in ambito pubblico : legge n. 92/2012 (Fornero), d.lgs. n. 23/2015 (contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti), d. lgs. n. 81/ 2015 (contratti di lavoro e mansioni).

Le riforme della pubblica amministrazione dal 1992 in avanti avevano optato per una riduzione della specificità dell'impiego pubblico rispetto all'impiego privato, spingendo su aspetti di "aziendalizzazione" e su presupposti di responsabilizzazione per i risultati, efficienza ed economicità della azione amministrativa e, per quanto riguarda la dirigenza, su ampia autonomia gestionale e manageriale.

Nel corso degli anni sono via via emerse ambiguità della normativa, incertezze nell' indirizzo politico e vere e proprie azioni di revisione (se non di contrasto) tali da "reindirizzare" il disegno riformatore verso la versione o interpretazione più pubblicistica e meno orientata alla privatizzazione. Importante l'ultimo organico intervento "riformatore della riforma" (legge n. !5/2009 e d.lgs. n. 150/2009 cd. riforma Brunetta) dove si conferma la scelta privatistica ed aziendale, ma si riducono fortemente gli aspetti di autonomia, in particolare dirigenziale (prevalenza delle disposizioni legislative sulle pratiche aziendalistiche) con l'effetto di tornare a privilegiare il rispetto, spesso solo formale, di obblighi/adempimenti/procedimenti per scongiurare il rischio di responsabilità in violazione di obblighi di condotta, anziché sviluppare la autonomia e la responsabilità di risultato.

In tema di dirigenza hanno pesato sia incertezze nella definizione del modello di dirigente pubblico (quali e quanti spazi di autonomia, che modalità di reclutamento, quale metodologia di valutazione dei risultati) e sia nodi non risolti dalle norme di legge (il rapporto tra "indirizzo politico" e "gestione"; la "fiduciarietà" nel conferimento degli incarichi).

La situazione che si è venuta a creare è difficile e connotata da varie criticità :

  • scarsa mobilità dei dirigenti pubblici;
  • forti condizionamenti da parte della politica dalla quale dipendono incarichi e carriere;
  • limitazioni alla azione manageriale tramite forme di controllo sempre più invadenti e responsabilizzanti (anche quando definite collaborative);
  • diffusa insoddisfazione per procedure di accesso e di selezione della dirigenza basate più sulla conoscenza di nozioni teoriche che sulla verifica di esperienza e capacità di raggiungere obiettivi;
  • insuccesso dei sistemi di valutazione resi operativi (salve lodevoli eccezioni) su basi formalistiche ed adempimentali ed incapaci di riconoscere merito ed efficienza produttiva;
  • disomogeneità dei trattamenti economici e retributivi e con vincoli e rigidità che impediscono alle amministrazioni di offrire trattamenti competitivi e di dotarsi dei dirigenti migliori. 

Il tutto aggravato da una crescente necessità di competenze professionali e manageriali in relazione alla crisi economica ed alla pressione per il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, nonché a fronte di una elevata anzianità media che porterà nel breve periodo ad un incremento del fabbisogno connesso all' imprescindibile ed urgente esigenza di ringiovanimento in generale del personale pubblico ed in particolare della dirigenza.

Il progetto di "riforma Madia" mirava ad intervenire sui punti critici del vigente assetto della dirigenza pubblica, in parte recuperando e rafforzando dinamiche tipiche del rapporto di lavoro dirigenziale nel privato (attivazione di un "mercato del lavoro" attraverso la istituzione di "ruoli unici" : stato, sanità, regioni ed enti locali , maggiore mobilità, procedure concorsuali di accesso centralizzate, formazione obbligatoria e strutturata), ma anche mantenendo ed anzi accentuando regole e procedure di stampo pubblicistico (gestione e monitoraggio dei ruoli gestite da organismi centrali, scadenza temporale degli incarichi senza garanzia di adeguata valutazione dei risultati, esclusiva imputabilità ai dirigenti - e non anche ai politici - della responsabilità per la attività gestionale), tanto che i diretti interessati (i dirigenti pubblici) hanno bocciato i cambiamenti proposti leggendovi un generale peggioramento delle condizioni di lavoro, un mancato riconoscimento di professionalità ed un tentativo di far ancor più prevalere la ingerenza politica sui punti chiave e fondamentali : la autonomia, la scelta, la circolazione e la gestione degli incarichi (si vedano in merito i dati, recentemente pubblicati e fortemente negativi, della annuale indagine "La PA vista da chi la dirige" realizzata dalla Fondazione PromoPA nell'ambito degli interventi promossi dal Dipartimento della Funzione Pubblica).

Non tutte le proposte di revisione e cambiamento del vigente assetto normativo meritavano però una critica così netta da parte degli "addetti ai lavori" . In particolare AIDP-PA in documenti di discussione ed incontri e nelle audizioni in sedi istituzionali, aveva evidenziato aspetti migliorabili, ma positivi di innovazione ed allineamento alle istanze di una pubblica amministrazione più moderna e più efficiente :

  • la creazione di un "mercato della dirigenza" al quale le amministrazioni possono ricorrere, con la garanzia che i dirigenti saranno in possesso della competenze di base necessarie;
  • una selezione migliore, con costi ottimizzati, anche per quelle amministrazioni che da sole non sarebbero in grado di attivare processi adeguati;
  • l'ottimizzazione della formazione, una formazione di base unica e certificata per tutta la dirigenza ;
  • gli incarichi a termine per combattere l'inamovibilità della dirigenza, introdurre la tensione verso la performance, agevolare il funzionamento del "mercato" della dirigenza; 
  • durata degli incarichi tale da non "schiacciare" tutta l'organizzazione sul breve periodo (il che sarebbe incongruo rispetto alla natura dei programmi di politiche pubbliche e di sviluppo e per una valutazione reale dei risultati e dell'andamento generale delle performance dell'ente);
  • la valutazione dei risultati "fatta seriamente" con metodologia comune e condivisa, anche attraverso il recupero di esperienze positive (non si può sempre pensare che tutto ricominci da capo!) anche tramite authority effettivamente indipendenti e con connessione tra incentivi e risultati complessivi.

Il riavvio dell'iter della riforma può essere l'occasione per ripensare gli aspetti rivelatisi più critici e controversi anche riconoscendo e valorizzando le buone pratiche comunque già esistenti sia nelle aziende private che in molte pubbliche amministrazioni.

In generale il riconoscimento delle buone pratiche ed una più ampia partecipazione e dialogo tra pubblico e privato in termini di scambio di esperienze, potrebbe consentire la ripresa anche del percorso di avvicinamento tra funzioni dirigenziali 8 nel pubblico e nel privato) a torto considerate divise da barriere (normative e culturali) insuperabili. Lo spirito di sfiducia e la ostilità esplicita di gran parte dei dirigenti pubblici (che dovrebbero invece essere in prima fila nella attuazione della riforma) si può superare con il recupero del confronto sui temi degli obiettivi e dei risultati, innanzitutto quelli a maggiore valenza strategica per i cittadini e per gli utenti e restituendo alle politiche del personale pubblico ( dirigenza inclusa) non solo grandi riforme rimaste spesso sulla carta, ma finalità di sviluppo delle persone e modalità di riconoscimento della crescita professionale e delle competenze, per la cui effettiva realizzazione sono più importanti la condivisione e la prassi applicativa che non la approvazione di articolati e complessi "corpi normativi".

Marco Crescimbeni, dirigente pubblico, componente per la pubblica amministrazione del consiglio direttivo AIDP Triveneto - componente AIDP-PA

 

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