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     n. 15 anno 2016

People management skills: quanto sono importanti per far ripartire lo sviluppo?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Il deficit di produttività che frena l'economia
L'economia arranca, ci domandiamo quali siano le cause che frenano il suo sviluppo e quali potrebbero essere le leve per accrescere soprattutto la produttività. La sua stasi, infatti, e il divario accumulato rispetto a quella dei nostri competitor è additata da molti come la causa principale della situazione che viviamo. La chiave della ripresa sarebbe dunque aumentare la produttività. Ma quali sono le sue principali determinanti? Gli economisti distinguono tradizionalmente tra fattori interni all'impresa e fattori esterni, quelli cioè che rilevano a livello aggregato e non della singola realtà. Tra le prime si ricomprendono anche le capacità del management di coinvolgere le persone nell'impresa per motivarle a conseguire elevate performance nel rispetto degli standard etici che devono presiedere alla gestione degli affari. Si discute quale peso dovrebbero avere le competenze di people management nel profilo dei dirigenti e supervisor, se e quanto la presenza di people e social skills facciano davvero la differenza e se possano rappresentare effettivamente una leva di sviluppo delle performance economiche. C'è davvero correlazione tra employee engagement e performance dell'impresa? Un corposo studio realizzato a livello worldwide da Gallup, il noto istituto di ricerca e di consulenza americano, fornisce la risposta mettendo a fuoco le relazioni tra engagement, performance e produttività. Andiamo con ordine iniziando da una definizione dell'engagement e domandandoci come si misura.

Il significato di engagament. La sua misura secondo Gallup
In generale, quando usiamo engagement vogliamo evocare quel particolare stato d'animo di chi si sente preso, quasi travolto, dalla passione verso qualcuno o verso qualcosa. Nell'ambito lavorativo e semplificando molto, dunque, possiamo definire l'engagement come uno stato dei collaboratori che consente loro di coinvolgersi attivamente e con passione nella vita dell'organizzazione, situazione questa capace di attivare anche comportamenti discrezionali extra-ruolo. Un collaboratore engaged, in altre parole, è disponibile a mettere in atto comportamenti fuori del normale e del dovuto, non contemplati o comunque non attesi all'interno di una relazione di scambio di natura prevalentemente economicistica, com'è per lo più pensato quello sottostante il rapporto di lavoro, vale a dire comportamenti "gratuiti" che si esprimono attraverso l'attivazione dei cosiddetti comportamenti di cittadinanza organizzativa. Come si misura l'engagement dei lavoratori? Tralasciando la letteratura e ricerca accademica che propongono dimensioni specifiche di misurazione di questo costrutto (si veda per esempio il lavoro di Wilmar Schaufeli W., Pieternel Djikstra e Laura Borgogni (Engagement: la passione nel lavoro, Franco Angeli, Milano, 2012), Gallup misura da anni, in quasi 200 paesi, l'employee engagement attraverso una survey che propone dodici item identificati grazie a un lungo lavoro dei ricercatori che hanno condotto migliaia di interviste. Per vivere lo stato d'animo che identifica l'engagement le persone devono sentirsi emotivamente coinvolte nel lavoro e negli scopi dell'organizzazione, vogliono sentirsi rispettate e vedere che il loro lavoro ha senso e che è considerato, desiderano avere buone relazioni con i colleghi e con i manager, vogliono essere certe che all'impresa interessi e pensi al loro sviluppo personale, atteggiamento quest'ultimo che misurano concretamente attraverso l'attenzione loro riservata e che si esplicita in forma di feedback, nei riconoscimenti ricevuti dai capi, nella possibilità di partecipare a programmi di formazione e crescita.

Tre tipologie di lavoratori
Dall'ultimo rapporto disponibile (2013) emerge un quadro per nulla entusiasmante, se si pensa che solo il 13% dei lavoratori a livello worldwide risulta "engaged". L'87%, invece, risulta "not engaged" e "actively disingaged". I primi rappresentano oltre il 60% di quanti lavorano, non hanno un atteggiamento ostile o distruttivo nei riguardi dell'azienda dove però - potremmo usare questa espressione - "vivacchiano" senza grandi preoccupazioni per i risultati, per il lavoro che svolgono, per i clienti che servono e per la loro soddisfazione. I "not engaged workers" in altre parole sembrano più voler tirare a campare che interessati a cercare nel lavoro motivi di soddisfazione, sono resistenti a ogni coinvolgimento attivo, per lo più scettici e con la testa fuori dell'impresa. Vi sono poi gli "actively disengaged", una popolazione assai ingombrante che rappresenta quasi il doppio degli "engaged". Questi lavoratori non solo non sono felici, ma fanno di tutto per rendere infelice la vita anche degli altri senza risparmiare nessuno: capi, colleghi, l'intera organizzazione. Sono persone che s'impegnano attivamente per raggiungere questo risultato, frappongono ostacoli a ogni iniziativa, sono negativi verso ogni cosa, fanno perdere un sacco di tempo distruggendo energia, sempre intenti a guastare con metodo il clima nell'impresa. E l'Italia? Siamo grosso modo nella media con un 14% di lavoratori engaged. Ma per non lasciarsi prendere troppo dall'entusiamo val la pena segnalare subito che non brilliamo tra i Paesi dell'Europa Occidentale, occupando la parte più bassa del ranking.

Esiste una solida correlazione tra employee engagement e performance economica
Stando così le cose è facile comprendere quanto siano importanti le people skills possedute da leader e manager per accrescere il numero di persone "engaged" a decremento di quello dei lavoratori che "vivacchiano" o che addirittura sono ostili verso l'impresa. Che risultati avrebbero le imprese se avessero persone più motivate? La loro soddisfazione lavorativa si scarica sulla bottom line? Qui sta il punto. Secondo i ricercatori Gallup c'è una forte correlazione tra employee engagement e performance economica dell'impresa verificata grazie a un poderoso studio empirico che prende in esame circa 50.000 business/work units che occupano quasi un milione e mezzo di lavoratori. C'è correlazione, più in particolare, tra andamento di indicatori di performance (portafoglio clienti, profittabilità, produttività, turnover e assenteismo, scarti e qualità) e i tassi di employee engagement. I risultati sono davvero sorprendenti al riguardo. Le imprese che vantano più alti livelli di employee engagement, infatti, presentano differenze significativamente positive su tutti gli indicatori di performance selezionati rispetto alle imprese con bassi tassi di coinvolgimento attivo dei collaboratori. Per fare un esempio, le imprese con maggior employee engagement hanno una produttività e una profittabilità superiori delle altre, rispettivamente del 21% e del 22%. Sulla base di queste analisi i ricercatori si spingono ancora oltre fornendo una stima degli effetti negativi, in termini di costi, sull'economia nel suo complesso. Solo per fare due esempi di paesi a noi vicini il report di Gallup stima che l'active disingagement costerebbe alla Germania dai 112 ai 138 miliardi di euro per anno alla Germania e alla Gran Bretagna dai 52 ai 70 miliardi di sterline per anno.

Lavoratori demotivati: una costosa esternalità negativa prodotta dalle imprese
E' evidente, allora, che disponiamo di bacini immensi di ricchezza per accrescere produttività e benessere. Le imprese possono fare molto per togliere il freno all'economia. Soprattutto lo possono fare dotandosi di leader e capi capaci di motivare le persone, di recuperarle dallo stato del "tirare a campare" che - oltre a produrre un clima non positivo - scopriamo che costa anche molto a tutti. Le imprese che non pongono la giusta attenzione a questa dimensione non solo si fanno male da sole ma creano anche danni per l'economia intera. In altre parole queste imprese sarebbero responsabili della creazione di "esternalità negative", ossia di effetti collaterali del loro agire che coinvolgono altri soggetti al di fuori di quelli direttamente interessati dalle transazioni gestite dalle singole imprese. Per capire meglio il significato di esternalità negativa, mutuiamo un esempio tratto da un volume degli economisti americani Samuel Bowles, Richard Edwards e Frank Roosevelt F (Introduzione all'economia politica. Le dinamiche del capitalismo, Springer, 2011). Secondo questi studiosi, il prezzo che paghiamo per fare il pieno di benzina della nostra auto presso il distributore non rispecchia anche i costi che imponiamo agli altri in ragione del nostro consumo in termini di emissioni di anidride carbonica, smog, traffico. Questi effetti, dunque, rappresentano le esternalità della vendita e del consumo di carburante. Ora, in economia, "un'esternalità può essere positiva o negativa; un'esternalità è positiva se gli effetti esterni (o di ricaduta) di una transazione sono vantaggiosi per gli altri ed è negativa se la transazione impone costi ad altri". Riprendiamo allora il nostro ragionamento. Abbiamo appena visto che le imprese (il management) incapaci o meno capaci di coinvolgere attivamente i loro dipendenti, perchè non riescono a motivarli adeguatamente, producono effetti (negativi) non soltanto sulle loro performance economiche ma anche su quelle dell'economia nel suo complesso. La domanda allora è: possono essere considerate "socialmente responsabili" quelle imprese che - consapevoli o inconsapevoli di queste dinamiche - si ostinano a non prestare adeguata attenzione a come i loro dirigenti e il management in senso esteso trattano i collaboratori? In altre parole, la dotazione di competenze di people management è questione privata o può presentare profili di rilevanza pubblica?

Tre cantieri di lavoro
Le imprese devono impegnarsi seriamente nel far sì che i loro leader e manager siano all'altezza della situazione, credano fortemente e siano capaci di creare engagement nei luoghi di lavoro, competenze queste che - insieme ad altre, è ovvio - diventano fattori imprescindibili per conseguire buone performance anche economiche. Ci sono tre significativi campi per le imprese su cui esercitare questo impegno per fare in modo che tutto questo accada:

  • individuare criteri più appropriati attraverso cui scegliere i "capi" sia dal mercato esterno che nel mercato interno (come selezionare i manager)
  • riorientare il processo e gli strumenti che governano il performance management in modo che risulti coerente con le aspettative poste dalla relazione esistente tra engagement-performance-produttività (come valutare il contributo dei manager)
  • ricercare un più esplicito legame tra premi (carriera, remunerazione) e competenze di people management (come premiare i manager).

Sono tre campi di progettazione e intervento che coinvolgono profondamente la visione e la funzione che si assegna all'impresa, la filosofia e le pratiche di people management, la responsabilità di stakeholder, azionisti e manager. La ricerca del profitto e il rispetto delle persone (in altre parole, business ed etica) non corrono necessariamente su strade diverse, ma possono essere il risultato di una visione dell'impresa "interessata" autenticamente al bene comune.

Gabriele Gabrielli, Università LUISS Guido Carli, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona, @gabgab58

 

 

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