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     n. 19 anno 2016

Reiventarsi nel lavoro tra strategie convenzionali e non convenzionali

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

E' sempre più frequente l'esperienza di donne e uomini, di tutte le età, che decidono di lasciare, anche dopo molti anni, il loro lavoro per fare altro, spesso tutt'altro impegnandosi in attività anche profondamente diverse. Cosa li spinge a questo cambio di carriera? I motivi possono essere di diversa natura. Talvolta il cambiamento trova origine in fattori esterni: profonde ristrutturazioni, acquisizioni, chiusura dell'azienda. Ci si trova così a dover reinventare l'identità lavorativa, accogliendo anche prospettive di carriera mai immaginate o addirittura evitate. Reinventarsi però appare come un termine ambiguo e dai molteplici significati. Qualche volta, infatti, ci si reinventa per altre ragioni. Succede per esempio quando siamo noi stessi a decidere di cambiare per intraprendere una carriera più risuonante con le nostre motivazioni; per intraprendere un percorso accarezzato ma sempre rinviato. Reinventarsi, in questo caso, assomiglia più a un "ritrovarsi", una sorta di ritorno a casa.
Le storie che ascoltiamo, dunque, mostrano una realtà molto vivace affollata da carriere reinventate e non tradizionali, da "transizioni" verso esperienze di self-employment, di progetti di start-up sostenuti da un forte senso di autonomia e indipendenza. Sono transizioni di carriera che pongono numerose questioni teoriche e pratiche come queste:

  • ci sono competenze specifiche che possono supportare/facilitare il successo di modelli di carriera non tradizionali? 
  • il "reinventarsi" è associato all'esito del combinarsi di diversi fattori culturali e ambientali o è legato piuttosto a caratteristiche più personali, come il genere, la personalità o altro? Cos'è più importante? 
  • possiamo prepararci a cambiare carriera? In che modo? 
  • c'è un tempo migliore per affrontare transizioni di carriera e per "reinventarsi"? 
Mi torna in mente un volume di Herminia Ibarra (Working Identity. Unconventional Strategies for Reinventing Your Career, Harvard Business School Press, 2002 - trad. it. Identità al lavoro. Strategie non convenzionali per trasformare la carriera e la vita, RCS, Milano, 2006). La tesi proposta è che cambiare carriera vuol dire cambiare se stessi. "Poiché in noi convivono molti sé - argomenta la studiosa - "il cambiamento non è un processo di sostituzione di un'identità all'altra, ma un processo di transizione in cui riconfiguriamo l'intera gamma delle possibilità". Il cambiamento di carriera, allora, non può poggiare su un processo di riflessione e pianificazione delle azioni (strategia convenzionale), piuttosto deve fondarsi sul fare e sulla pratica dell'esplorazione, che rappresenta indubbiamente un metodo non convenzionale. Secondo la Ibarra, in poche parole, noi scopriamo le vere possibilità di cambiare carriera, di reinventarci, facendo non pensando, esplorando non pianificando.
Le implicazioni di questo approccio esplorativo sono numerose. Il reinventarsi passa sempre per percorsi più o meno lunghi di transizione; richiede di accamparsi e abitare territori di passaggio e aperti, più sfumati che chiari, fatti di componenti anche contraddittorie e di apprendimenti non convenzionali. In questa prospettiva, l'incontro con l'Altro può diventare - nella sua più concreta esperienza di possibilità fuori di noi - un'occasione da cogliere in tutta la sua generatività, come spinta decisiva e fonte del cambiamento. La dimensione relazionale e narrativa che l'incontro con l'altro ci propone, fatto di ascolto e dialogo, costituisce un potente strumento, anche per l'executive education, sia per facilitare gli apprendimenti individuali e organizzativi, sia per seminare o innescare processi di cambiamento anche di carriera. Si tratta di una dimensione di straordinaria ricchezza, che rischia però di questi tempi di venire sacrificata sull'altare della digital transformation. Alcuni suoi interpreti oltranzisti, infatti, ne valorizzano il successo esaltando in modo miope, a nostro avviso, metriche che ostracizzano proprio l'incontro e la costruzione di legami relazionali, la loro dinamica e fertilità umana e organizzativa. Il rischio diventa concreto quando si ascoltano esperienze organizzative che vantano di aver ridotto a qualche punto percentuale le occasioni di incontro formativo. Ma è proprio questo il fine da perseguire o piuttosto non dovrebbe essere la ricerca di soluzioni più efficaci sfruttando le potenzialità della tecnologia? Forse si sta scambiando il mezzo con il fine. La conseguenza è che le aziende diventano sempre più spesso luoghi che testimoniano un processo di desertificazione che avanza e che travolge le relazioni, tagliando così alla radice la fondamentale provvista umana del lavoro che è un bene relazionale. E' proprio questo che vogliamo?

 

Gabriele Gabrielli, LUISS Guido Carli | Presidente Fondazione Lavoroperlapersona
@gabgab58
 

 

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