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     n. 2 anno 2016

Diventeremo tutti imprenditori in un unico e globalizzato open space?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Il lavoro senza tempo e senza luogo

Il lavoro sta cambiando profondamente. Ne siamo consapevoli, forse ancora non del tutto. D'altro canto come si fa a immaginare gli esiti di una trasformazione che si propone epocale? In effetti, quella che tutti chiamiamo digital transformation - infarcita da formule magiche come lo smart working, il lavoro agile, le piattaforme collaborative ecc. - non ha ancora contorni ben delineati; va approfondita e in più direzioni. Di certo, è una trasformazione che sta ridisegnando radicalmente i modelli di business, l'organizzazione del lavoro, le professioni. A ben vedere la nostra vita, la cultura e il modo con cui guardiamo dentro e fuori di noi. I fattori che la stanno provocando sono numerosi, come si sa. La tecnologia fa la parte del leone. Di fronte alle sue potenzialità, infatti, molte verità del passato crollano rumorosamente. La spallata più forte è data dalla possibilità di accedere alla rete da ogni luogo e da differenti mobile devices, circostanza questa che, assicurando una continua connettività, consente maggiore flessibilità. Sono in molti così a pensare che l'epoca in cui siamo entrati sarà ricordata soprattutto per questa sua attitudine a ridisegnare progressivamente il lavoro facendolo diventare "senza tempo e senza luogo". Everytime ed everywhere sono le nuove espressioni che segnalano questa direzione, sottolineando la pervasività della nuova onda di cambiamento che succede al postfordismo. Ricerche sempre più numerose(1), anche di natura interdisciplinare, infatti, mostrano che il lavoro sperimenta nuove forme, rese possibili dalla tecnologia che, mettendo a disposizione potenti devices sempre più smart e piattaforme collaborative, rendono marginale e non più centrale l'individuazione del luogo dove erogare la prestazione. Non solo. Questi strumenti intelligenti consentono ormai agli stessi lavoratori di diventare proprietari dei mezzi di produzione, facendo saltare così anche un'altra premessa attorno alla quale è stata costruita l'impalcatura culturale, giuridica e sociale del lavoro subordinato, ossia che l'imprenditore - proprio in virtù della condizione di proprietario dei mezzi di produzione, e diversamente dal lavoratore - si deve assumere i rischi dell'organizzazione dell'impresa. Sulla spinta di queste indubbie opportunità, crescono così di numero e di rilevanza gli accordi aziendali che incentivano il cosiddetto "lavoro agile", ossia il lavoro reso in spazi non aziendali e in tempi non fissati dalle macchine. Il caso Ducati e quello della Fiat di Pomigliano, inoltre, lasciano immaginare che questa conquista di maggiore libertà possa avere un futuro anche nelle fabbriche e non solo nei luoghi virtuali dell'economia dei servizi.

Il nuovo dispositivo: sempre operativi

Insomma, la possibilità di scegliere il tempo di lavoro non costituisce più un tabù, un'idea traumatica ed eversiva. Il contrario. Oggi, assume più il significato di un adeguamento coerente alla trama sottile di quest'epoca e del nuovo volto del capitalismo che vi abita. Un tessuto morbido e avvolgente che veste il nostro comportamento guidandolo discretamente ma con inflessibile fermezza. Anche la grande trasformazione del lavoro(2), allora, deve misurarsi con i nuovi dispositivi culturali, economici e sociali che contraddistinguono la contemporaneità e le sue nuove figure del potere. Jonathan Crary, in un recente saggio dove discute delle mire del capitalismo(3), scrive: "L'intero pianeta viene riprogettato come luogo di lavoro perennemente in attività o come centro commerciale che non chiude mai, capace di garantire un'infinita varietà di offerte di funzioni, di scelte e di alternative". Se l'operatività e il suo flusso produttivo e consumistico sono sempre garantiti e ininterrotti, insomma, diventa accettabile, e ancor prima desiderabile, l'idea di un sistema strutturato temporalmente 24 ore per 7 giorni che lascia all'individuo la (sola) libertà di scegliere come adeguarvisi. In questo modo prende forma, manifestandosi in tutta la sua dirompenza, il potere di disciplina e controllo che ogni dispositivo incorpora e rilascia ovunque con generosità.

Liberarsi dalla direzione altrui. Una visione desiderabile?

Questi primi tre lustri del nuovo secolo ci offrono, dunque, numerose piste per esercitare la riflessione, il confronto e la sperimentazione. Tra queste spicca per la sua portata quella che lascia supporre un assottigliamento progressivo delle differenze tra l'imprenditore e il dipendente. Fare l'imprenditore è stato sempre un privilegio di pochi. La prospettiva però può essere cambiata, perché ora ci sono fattori che aprirebbero questa possibilità a molti. Perché allora non assumere l'ipotesi che tutti vogliano diventare imprenditori, assumersi i rischi conseguenti e autodeterminare il proprio lavoro? La visione - da discutere naturalmente - trova supporto in tante componenti della trasformazione in atto. Soprattutto avrebbe il suo più solido partner strategico nell'innovazione tecnologica che - sfruttando le potenzialità della connettività - abbatterà le mura dei vecchi e obsoleti luoghi di lavoro (fabbrica, uffici ecc.) senza erigerne altri al loro posto. A che servirebbero in fondo? Perché limitare la libertà degli individui irretendo la creatività delle persone? In questo scenario, inoltre, è proprio necessario che il tempo continui a essere considerato il criterio più adeguato per determinare la retribuzione, o non è preferibile puntare diritti al risultato? Tirando le somme il nostro pianeta potrebbe diventare così un unico e globalizzato open-space senza orario, dove le persone continueranno a lavorare, certo, disponendo però dei mezzi di produzione divenuti nel frattempo ancora più smart e accessibili e senza dover più sopportare (almeno sembrerebbe) il peso della direzione altrui. D'altro canto, perché non dobbiamo credere che ciascuno di noi sia in grado di darsi la direzione che vuole? In questa prospettiva, non c'è nemmeno da escludere che la nuova grande trasformazione potrà aiutarci anche a superare l'esperienza del limite, una palla al piede poco efficiente.
E' una visione che, facile immaginare anche questo, resta da discutere nelle premesse e nelle implicazioni. Quel che appare certo è che le opportunità da cogliere per accrescere il benessere sono numerose, ma non debbono abbagliare; non dobbiamo infatti dimenticare che la trasformazione porta con sé anche una lunga lista di domande sulla visione dell'essere umano e del lavoro rispetto alle quali non restare miopi o addirittura ciechi. Occorre assumerne la densità problematica, aumentarne la consapevolezza e maneggiarla con cura.

(1) Molto articolata e ricca di casi è la ricerca di Eurofound, New form of employment, 2015. Per una chiave di lettura più di business management della trasformazione dell'economia e del lavoro si veda invece McKinsey Global Institute, Help wanted: The future of work in advanced economies, 2012.
(2) Tiraboschi M., Seghezzi F., Al Jobs Act mancano l'anima e una visione del lavoro che cambia. Ecco perché rileggere oggi la Grande trasformazione di Polanyi, 2015
(3) Crary J., 24/7 Il capitalismo all'assalto del sonno, Einaudi, Torino, 2015

Gabriele Gabrielli
Docente Università LUISS Guido Carli, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (presidenza@lavoroperlapersona.it)
twitter@gabgab58
 

 

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