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     n. 19 anno 2015

La felicità è un bene a somma zero?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

L'interesse verso la felicità cresce. Anche nelle scienze organizzative e negli studi di management è oggetto di ricerche e studi. Numerosi anche i convegni e le discussioni pubbliche che si domandano se e come le imprese possano diventare luoghi di felicità. Perché la felicità attrae così tanto anche business leader e manager? Che relazioni ci sono tra felicità e lavoro? Indubbiamente sono molteplici. Basti pensare al filo che lega la soddisfazione lavorativa, la motivazione e la performance. E' interessante però anche domandarsi se la felicità sia un bene che può essere condiviso. Può essere distribuita? Adam Smith, nelle pagine del suo lavoro giovanile Teoria dei sentimenti morali scrive: "Per quanto egoista lo si possa supporre, l'uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità". L'uomo secondo Smith, quindi, non è guidato tanto (o non solo) dal self-interest, ma anche da una diversa e prepotente spinta che lo induce ad affannarsi per ricercare non solo il benessere proprio ma anche quello altrui (che gli appare necessario). In questa prospettiva, ci sono studi che avanzano l'ipotesi secondo cui noi stiamo bene in realtà quando riusciamo ad associare altri in questo stato, quasi a dire che non possiamo essere felici che « insieme ». C'è una forza interiore che orienta il nostro agire sociale e anche organizzativo in questa direzione. Una spinta, inscritta nel dna, che ci induce a mettere in campo modelli di comportamento manageriale che, nel comporre e ricomporre capacità per raggiungere gli obiettivi dell'impresa, rispettino una pluralità di interessi: dell'impresa, della persona che lavora, di altri individui e comunità. Com'è possibile giustificare una tale « distrazione » nel comportamento dei manager? Gli executive sono infatti pagati - è la teoria della scuola classica - per consentire all'impresa di « ottenere profitti sempre più elevati ». Una teoria miope di stampo individualista, però, perchè guarda all'uomo solo come soggetto in cerca del proprio tornaconto. Ma l'uomo - anticipavamo - non è solo oeconomicus e imprigionato nel bozzolo vischioso del self-love. Ciascuno di noi è invece « naturalmente » portato a interessarsi della felicità degli altri, fattore che abilita anche la nostra felicità. Quando questa spinta diventa « strutturazione manageriale » la differenza si sente e come nell'impresa. Pensiamo, solo per fare un esempio, alla decisione che si può assumere scegliendo tra politiche inclusive o politiche elitarie di gestione delle risorse umane. Le implicazioni sono molto diverse a seconda della scelta che si adotterà. Ci si può prendere cura e coinvolgere attivamente, nel caso prevalga la prima scelta, le fasce di dipendenti più senior che lasceranno il lavoro più avanti nel tempo, costretti a rimanere nei luoghi di lavoro da una legislazione previdenziale diversa dal passato o perchè motivati a farlo indipendente da questo fattore esterno. Se la spinta interiore di cui parla Smith, invece, si piegasse al suono delle numerose sirene che riempiono gli scogli dell'agire manageriale si deciderà diversamente. In questo caso, ampie fasce di lavoratori-cittadini con età avanzata saranno lasciati precipitare in uno stato di progressiva marginalizzazione. Entrambe le scelte, evidentemente, produrranno effetti su clima e motivazione, capitale umano e performance, fiducia e legami sociali. Anche sulla felicità, che sarà condivisa tra molte persone nella prima scelta, mentre non potrà essere distribuita nel secondo caso perchè assente. Una vignetta di Altan chiarisce efficacemente questo punto : « Tutti abbiamo diritto a un pò di felicità ». Ma si domanda : « A chi la togliamo ? » In verità, la felicità non è un bene a somma zero. La felicità non è come una torta che si divide a fette, per cui se qualcuno ne prende una di troppo la toglie a un altro. Si può essere felici insieme, anche nelle imprese.

Gabriele Gabrielli, docente Università LUISS Guido Carli
twitter@gabgab58
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

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