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     n. 9 anno 2014

Dobbiamo rendere uguali gli uomini? Pericolosa scorciatoia per un management pigro e irresponsabile

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

"Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di primo e unico". Lo scrive Martin Buber in un libretto tratto da una conferenza del 1947 (Il cammino dell'uomo, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 1990); un pensiero che, insieme a un racconto chassidico di cui l'autore è uno dei narratori più autorevoli, ci aiuterà in questa riflessione sulla valorizzazione della persona nei luoghi di lavoro. Soprattutto per discuterne la premessa più evidente, la differenziazione. Cosa significa valorizzare? Pensate a quante volte utilizziamo questo termine o l'ascoltiamo in occasioni diverse. Proviamo a fare mente locale su quante slide ci passano sotto gli occhi con un punto elenco con evidenziatala finalità di "valorizzare". Usiamo questo termine, infatti, per riferirci a un perimetro molto vasto di oggetti. Per esempio, per sottolineare l'obiettivo di valorizzare gli investimenti realizzati o il potenziale dei nostri clienti; il brand di un'impresa, la sua forza commerciale o la sua posizione sul mercato; lo usiamo quando vogliamo valorizzare il suo patrimonio immobiliare, la sua tecnologia, ma anche la sua storia e cultura, il patrimonio delle relazioni. Si possono valorizzare risorse hard e tangibili ma anche risorse soft e intangibili. Si possono valorizzare le persone, ma anche no, come oggi si usa dire. Proseguendo nel nostro esercizio di consapevolezza ci domandiamo ora più nel concreto cosa significhi valorizzare le persone. Questo verbo transitivo evoca un'azione che accresce il valore di una cosa o di un bene, perché ne aumenta il pregio o la sua posizione. Richiama anche il significato di un'azione che riesce a estrarre tutto il valore che lo stesso bene ha "intrinsecamente". Potremmo dire che il valorizzare si esprime attraverso un progetto che costruisce le condizioni utili per realizzare tutto il potenziale di quel bene, per raccoglierne i frutti e poterne godere i risultati. Per questo quando valorizziamo qualche cosa o qualcuno ne esaltiamo tutte le qualità (si pensi a un sommelier mentre racconta, con un calice in mano, i colori, la storia, le componenti, il sapore, le tradizioni da cui proviene quel vino), perché vogliamo attribuirgli un valore esclusivo e unico, tipico di ciò che non esiste altrove, irripetibile. L'idea che facilmente associamo al valorizzare, insomma, è quella di un valore unico e distintivo. Per valorizzare occorre dunque differenziare e questo è un aspetto decisivo; non c'è dubbio infatti la valorizzazione delle persone debba passare per questa via attraverso leader, manager e capi capaci. La pratica ci dice però che questa via non è sempre frequentata, perché ad essa si preferiscono altre strade meno faticose, senza curve, piatte. Quali motivazioni suggeriscono un posizionamento del management così pericoloso che rinuncia a valorizzare non differenziando le persone? Sono molte, in verità. Per esempio il disinteresse verso l'altro, perché si è concentrati sul presente a sviluppare atteggiamenti poco generosi, un po' come quelli dell'amministratore pigro e svogliato della parabola dei talenti che sciupa il patrimonio affidato andandolo a nascondere. Un'altra ragione può risiedere nella poca convinzione che si ha riguardo ai benefici che il valorizzare comporterebbe, come la crescita di motivazione, un profilo di engagement delle persone migliore, un clima più partecipativo e la disponibilità di comportamenti di cittadinanza organizzativa più intensi. Purtroppo sono ancora numerosi i luoghi organizzativi in cui alle leve della valorizzazione e differenziazione delle persone si preferiscono logiche di gestione indifferenziata e omologanti. Per usare una metafora a tutti famigliare, è un po' come ostinarsi a non voler comprendere quanto siano eticamente fondati, utili e produttivi quegli stili di vita e quei comportamenti dei cittadini che adottano i principi e le metodologie della raccolta differenziata dei rifiuti. Sono del tutto consapevoli che è più faticosa, perché richiede maggiore concentrazione e la conoscenza dei materiali e dei loro componenti; sentono però che è un'azione rispettosa di un bene comune e sono anche convinti che da questa differenziazione nascerà ricchezza nuova, un valore che se si fosse percorsa la via facile, piatta e senza curve del fare di ogni erba un fascio, non sarebbe stato possibile scoprire ed estrarre. Non c'è management sostenibile delle persone che non passi per la valorizzazione e differenziazione. Ricordate il pensiero sull'unicità dell'uomo da cui siamo partiti? Ascoltiamo ora il racconto di Rabbi Sussja che s'interroga così: "Nel mondo futuro non mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Mosè?'; mi si chiederà invece: ‘Perché non sei stato Sussja?'. Chiudiamo questa riflessione con il commento che ne fa Martin Bauber: "Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E' infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano".

Gabriele Gabrielli, docente Università Luiss Guido Carli
twitter@gabgab58
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

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