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     n. 18 anno 2014

Coltivare l’intelligenza culturale
Per non cedere alla tentazione di “zippare” il flusso organizzativo

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Sono molte le aziende eccellenti che dichiarano di fondare il proprio successo su una cultura organizzativa forte e distintiva, in grado di stimolare il coinvolgimento dei propri stakeholder interni ed esterni. Eppure, nella realtà operativa, non è sempre facile capire come identificare e coltivare valori comuni. Anche nel mondo globalizzato di oggi persistono forti contrasti fra individui, gruppi, organizzazioni e nazioni che ragionano, si emozionano e agiscono in modi diversi. Saper leggere le differenze di orientamenti valoriali, consuetudini e pratiche che caratterizzano paesi, settori, mercati, business, comunità professionali e generazioni è una competenza fondamentale che organizzazioni, leader e manager, collaboratori devono sviluppare per comprendere come gestire costruttivamente le relazioni di lavoro e far leva sui valori per realizzare la strategia.
Dalla nostra cassetta degli attrezzi, infatti, siamo costretti a tirar fuori con sempre maggior frequenza l'intelligenza culturale e le sue benefiche implicazioni organizzative. Le occasioni per farlo sono disparate. L'intelligenza culturale, per esempio, è una competenza fondamentale per gestire processi di internazionalizzazione che richiedono evidentemente la conoscenza approfondita non solo del contesto socio-economico del paese, quello del mercato dove si vuole fare business ma anche le sue caratteristiche culturali, quelle del paese. Come se ne potrebbe fare a meno se si vogliono costruire efficaci team interculturali? L'intelligenza culturale, però, è importante anche in altre situazioni, per esempio a fronte di processi di riorganizzazione produttiva, laddove si riscrivono i processi di lavoro e le sue modalità operative, si ridisegnano job e relazioni, si aggiustano finalità e aspettative dei ruoli. Ogni cambiamento organizzativo, in effetti, s'innesta su un tessuto culturale preesistente avendo l'ambizione di modificarne l'ordito. Può creare turbolenza, anzi, sempre ne crea. Basti pensare all'incrocio di aspettative e ambizioni, energie e timori, motivazione e disorientamento che può provocare la scelta di divisionalizzare un gruppo di imprese che ridimensiona l' autonomia prima goduta; o al fluido magma di razionalità e sentimenti che può suscitare un'acquisizione o una fusione tra imprese e identità organizzative diverse. Dentro le organizzazioni, poi, si formano spesso vere e proprie identità culturali attorno al lavoro di comunità professionali che esprimono competenze, modi differenti di guardare il lavoro, strutture motivazionali diverse che creano altrettante "sottoculture". L'intelligenza culturale è indispensabile per comprendere questi fili; diventa strumento decisivo per identificarli nel flusso organizzativo e intrecciarli sapientemente in una nuova trama, in una nuova storia. La cultura organizzativa ("le" culture organizzative) diviene così compagna di viaggio di leader e manager, talvolta silenziosa e discreta, tal'altra rumorosa. La cultura organizzativa e i problemi di management che provoca sono un terreno affascinante e non univoco, fatto di sfumature e non lineare, aperto e complesso. Per questo occorre una cassetta degli attrezzi più ricca che non si affidi soltanto alla razionalità economica e a criteri interpretativi che strutturano la realtà come insieme ordinato di relazioni causa-effetto, spiegabili da improbabili algoritmi che vorrebbero "zippare" la vita organizzata come fosse un "file" di dati. Nelle organizzazioni c'è molto altro. Ci sono gli impliciti, gli affetti e le emozioni; il tacito e l'imprevedibile. Dimensioni nascoste e non apparenti che non siamo sempre allenati per scoprirle e tenerle in debito conto. In realtà qualche volta non vogliamo farlo, perché le riteniamo inefficienti, ci richiedono tempo e anche di metterci in discussione. Ci obbligano a un percorso non lineare per decidere, faticoso e impervio. Ma i materiali organizzativi sono particolari, esclusivi, non standardizzabili. "Che l'organizzazione - scrive Gian Piero Quaglino - sia un tessuto oggettivo e razionale di strategie e decisioni, di risultati e valutazioni, di compiti e procedure è e resta innegabile". Però "tutto ciò è pur sempre e solo l'apparente, il superficiale. L'organizzazione vera è altrove, è nel profondo delle storie che contiene e che induce, che ospita e che suggerisce, che occulta e che provoca. La trama del tessuto organizzativo è irriducibilmente soggettiva e narrativa". L'intelligenza culturale, come tutte le competenze, ha bisogno di allenamento per essere sviluppata. Investire su adeguati programmi di educazione e sensibilità manageriale può rivelarsi una buona strada da percorrere.

Gabriele Gabrielli, docente Università Luiss Guido Carli
twitter@gabgab58
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

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