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     n. 11 anno 2013

L’agire organizzativo tra l’etica delle intenzioni e quella della responsabilità

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Dobbiamo preoccuparci solo dei principi o fare i conti anche con la realtà? Semplificando potremmo chiederci se sia possibile, conseguentemente, agire ruoli organizzativi nelle imprese senza sporcarsi le mani con situazioni a volte anche molto diverse da quelle immaginate o volute. Ho avuto l'opportunità di ascoltare qualche giorno fa un'appassionata lectio magistralis del prof. Sergio Fabbrini, Direttore della School of Government dell'Università Luiss Guido Carli, sui fabbisogni di leadership nel Paese. L'occasione per quest'intervento è stata l'inaugurazione della ottava edizione dell'Executive MBA della Luiss Business School. Lo hanno ascoltato cinquanta imprenditori, manager e professionisti di diversa estrazione e con esperienze di settore diverse. Un'ora molto intensa per riflettere sulla "politica" che ciascuno adotta per "cambiare" il mondo che gli è attorno o per guardarlo come fosse altro da sé, non governabile perché dipendente da forze estranee. Risuonano ancora alcune delle domande poste, in parte discusse, in parte accennate o rinviate alla coscienza di ciascuno. L'austera Sala delle Colonne che ha ospitato l'evento si è riempita così delle molte "tensioni" provocate dalla leadership e dal fare management, che chiedono tutti i giorni, a ciascuno di noi, di verificare posizionamenti e scelte, di gestire contraddizioni guardando avanti. Tornato a casa, sono andato a riprendere in mano il testo di Max Weber, più volte citato nella lectio, La politica come professione (Anabasi, 1994). Vi ho trovato annotato "ottobre 1995", quando avevo letto questo "discorso" tenuto nell'inverno del 1918-1919. Ritrovo subito, ampiamente sottolineato, quello che lo stesso Weber chiama "punto decisivo". Lo ripropongo in questa riflessione: "Dobbiamo aver chiaro in mente che ogni agire eticamente orientato può sottostare a due massime ben distinte, contrapposte irrimediabilmente: può essere orientato nel senso dell'"etica dell'intenzione" o dell'"etica della responsabilità". Per chi segue la prima, argomenta Weber, le conseguenze cattive saranno attribuibili come responsabilità al mondo, alla sua stupidità, al sistema, a un qualche Assoluto, a chi ti sta intorno. Chi segue la seconda, invece, si sentirà sempre responsabile delle azioni e non rovescerà "su altri le conseguenze del proprio agire, per quanto poteva anticiparle". Per l'etica della responsabilità, infatti, si è sempre responsabili delle conseguenze prevedibili del proprio agire.
Questioni complesse che vibrano con forza anche nelle imprese, scuotendo chi le guida, a ogni livello. Sporcarsi le mani, infatti, significa dover fare i conti con queste dimensioni e con molte altre. Come quella dell'impiego di mezzi che possono presentarsi di dubbia eticità o quantomeno pericolosi. Un territorio, questo, dove fiorisce rigogliosa la tensione tra mezzi e scopi, tra risorse e fini. Un territorio inesplorato per il seguace dell'etica delle intenzioni, perché questi rifiuta "ogni agire che impieghi mezzi eticamente pericolosi", non lasciandoli diventare possibilità. Prepotentemente si affacciano così altre questioni complesse e vischiose, come questa: se le intenzioni sono buone, dobbiamo preoccuparci anche delle azioni che poniamo in essere per realizzarle? Per fare un esempio concreto, alimentato dalla discussione attorno a numerose esperienze di filantropia, possiamo chiederci: il fine (buono) della beneficenza giustifica l'investimento di capitali in iniziative che contribuiscono a produrre quei mali e quella sofferenza che si vogliono "lenire"? Il "fare" può dimenticarsi o mettere a tacere i valori? Può essere utile ricordare a tal proposito, per aiutare la riflessione, che l'uomo è diverso da ogni altro animale perché è consapevole delle proprie azioni in quanto capace di aggiustare, in modo deliberato, il suo comportamento. Non ci può essere, dunque, disegno organizzativo o modello di corporate governance che possano offuscare la responsabilità individuale o, peggio, scaricarla su altri o su altro. L'approfondimento dell'etica della responsabilità continua a essere decisiva non solo per la "politica" e i suoi luoghi, ma anche per le imprese, i suoi leader e manager. Così com'è utile e doveroso interrogarsi sulla prospettiva e sui limiti dell'etica delle intenzioni. E' qui che cresce, nella storia, la consapevolezza. Per il mestiere del vivere, dunque, possono bastare i principi? Per il mestiere del vivere possiamo, d'altro canto, farci guidare solo dai risultati senza domandarci altro? Norberto Bobbio (Elogio della mitezza, 1994) scriveva: "Chi agisce secondo principi non si preoccupa del risultato delle proprie azioni: fa quel che deve e avvenga quel che può. Chi si preoccupa esclusivamente del risultato, non va tanto per il sottile rispetto alla conformità dei principi: fa quel che è necessario affinché avvenga quello che vuole". Ritornando a Max Weber è bello pensare che leader e capi non costruiscano il possibile senza essere tentati continuamente dall'impossibile. Altrimenti, senza questa tensione ideale e il coraggio che la sostiene nell'esperienza quotidiana, non sarebbero "in grado di realizzare neppure quello che oggi è possibile".

Gabriele Gabrielli
Università LUISS Guido Carli
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it) 

 

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