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     n. 3 anno 2013

I giovani e le nostre colpe

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Abbiamo molta difficoltà, non c'è dubbio. Ci manca serenità nei loro confronti, dobbiamo ammetterlo. Non riusciamo così a guardare ai giovani senza proiettare nelle nostre discussioni malessere e disagio. C'è un tale guazzabuglio di sentimenti in cuor nostro a riguardo che ci fa dire di tutto e di più. Per alcuni, i giovani sarebbero una generazione perduta e svogliata, per altri invece una generazione di ragazzi generosi e straordinariamente veloci nell'apprendere, innovativi e attenti alla cura di relazioni di benessere con il mondo. Privi di idee e di carattere, per taluni, creativi e ingegnosi per altri. Sono incapaci di alzare i pugni e di farsi sentire, per Federico Fubini (Corriere della Sera, 13 gennaio 2013), perché non hanno ancora deciso l'atteggiamento, e quindi il comportamento da prendere, nei confronti del sistema. Non sono leali nei suoi confronti (Loyalty), non riescono però a rompere definitivamente con le regole e le istituzioni in cui vivono (Exit), né sono capaci di organizzare una vera protesta (Voice), "almeno con una massa critica tale da ribaltare gli equilibri". Insomma, resta difficile applicare ai giovani - secondo la suggestione dell'editorialista del quotidiano milanese - anche le categorie proposte da Albert Hirshmann per studiare i comportamenti che si possono scegliere nei riguardi delle imprese, organizzazioni, stati. Anche qui, però, ci sarebbe molto da dire. Basti pensare, a proposito di uscita e defezione, alle lacrime che versiamo ogni volta che leggiamo e commentiamo i dati sulla "fuga di cervelli". Ritornando allo spunto di Fubini, insomma, i giovani non avrebbero grande personalità, mostrano di non avere idee forti e sarebbero privi di quel carattere che consentirebbe loro di farsi sentire, invece che far parlare altri e restare muti. In effetti, chi rappresenta oggi i giovani? Chi ne ha, usando un'altra categoria in profonda crisi, la rappresentanza politica? Secondo Beppe Severgnini proprio nessuno (Corriere della Sera, 20 gennaio 2013). Non c'è forza politica o leadership che stia facendo una qualche promessa nei loro confronti, scrive Severgnini, per questo "sono i grandi esclusi della campagna elettorale". Una generazione del tutto "trasparente" che nessuno si fila e che non trova posto in alcuna agenda. Una generazione quindi che prende schiaffi da tutte le parti e a qualunque latitudine. Su cui proiettiamo, consapevolmente o no, i nostri sensi di colpa. Perché di questo si tratta. Che si guardi ai giovani con dolcezza o ruvidezza importa poco. Questi sguardi nascondono tutti le nostre colpe e anche il senso di vergogna. Cosa fare allora? Mi viene in mente un passaggio della storia di Randy Pausch, quando parla degli errori che possiamo commettere. Occorre chiedere scusa in questi casi, ma "una buona scusa è formata da tre parti: mi dispiace, era colpa mia, cosa posso fare per rimediare?". Molto spesso si salta la terza parte e questo significa non essere sinceri. In questo modo però continuiamo a tradire le più giovani generazioni e lasciamo ricadere le nostre colpe sui figli. Apriamo allora un gran cantiere di ascolto e dialogo sincero con i giovani. Lasciamo perdere le analisi, tanto abbiamo capito che le categorie che usiamo sono tutte spuntate e fuorvianti. Ci fanno commettere errori e ci allontanano. Lo faccia il prossimo Governo, invitando nella "sala verde" di Palazzo Chigi a discutere e concertare anche i giovani, per non offendere "i guidatori di domani", direbbe Severgnini, "altrimenti ci lasceranno a piedi, e avranno ragione". Facciamolo però non soltanto per tornaconto, ma per responsabilità.

Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli e Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

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