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     n. 16 anno 2013

Spiegare o comprendere il comportamento?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Una bella intervista al sociologo Zygmunt Bauman (La Repubblica, 8 settembre 2013) ci offre lo spunto per questa riflessione sulle teorie e pratiche di Human Resource Management. Bauman discute intorno a un tema complesso, condensato nella questione se le scienze sociali siano destinate a scomparire strette nella morsa della progressiva disponibilità di strumenti che rendono computabile ogni cosa. Da una parte, infatti, ci sono i progressi delle neuroscienze che associano ogni azione umana a parti del cervello; dall'altra, le promesse della gestione dei Big Data capaci di tracciare e prevedere ogni nostra preferenza. E l'uomo? Avrà ancora senso in questa prospettiva, ci chiediamo, il management delle persone? La gestione delle risorse umane, i people manager, le donne e gli uomini delle funzioni HR sono da "rottamare"? Bauman però ci tranquillizza, perché sostiene che un conto è cercare le "spiegazioni" dei fenomeni e quindi le loro cause, un altro è "comprendere" e quindi trovare significati. Quando c'è il fattore umano in mezzo - è il pensiero del teorico della società liquida - si tratta di questo. Lo studioso aggiunge: "un naturalista può descrivere tutto di un albero ma non, ovviamente, come si sente". Proviamo allora a riportare questa riflessione nel concreto della gestione delle risorse umane, per vedere se può aiutarci a illuminare le teorie che la supportano, ma soprattutto le pratiche che la rendono viva. Da che parte stanno le donne e gli uomini delle funzioni HR? Spiegano o comprendono? Usano strumenti e apparati metodologici, modelli e tecniche con la mente del naturalista o con l'attitudine di chi ha davanti a sé persone in carne e ossa che vanno comprese? Di esempi su cui esercitare utilmente la riflessione ce ne sono tanti. Ne prendo soltanto uno. Sono ormai anni che l'approccio del Total Reward sta ben saldo sui tavoli delle funzioni HR, riempiendo con la sua filosofia presentazioni di consulenti e pratictioner in seminari e convegni. La crisi, poi, ha contribuito a esaltarne una possibile funzione d'uso, quella di strumento potente per ridurre i costi del personale. Fino a tal punto che si prova la sensazione, talvolta, che il suo significato originario abbia perso un po' di mordente. L'essenza di questo approccio si fonda sulla premessa che il collaboratore è una persona prima ancora che una risorsa; che le fonti della motivazione possono essere all'esterno, per esempio in riconoscimenti di natura estrinseca come la retribuzione, ma anche all'interno, nella soddisfazione che si prova, per esempio, nel fare un lavoro che piace o di farlo in condizioni organizzative che consentono alla persona di esprimersi pienamente. Per questo le imprese e il management dovrebbero conoscere in profondità i collaboratori, le loro caratteristiche personali, in una parola, la loro unicità. Sono molte le conseguenze pratiche per l'HRM. Per esempio, dovrebbero trovare maggior valore tutti i sistemi di ascolto organizzativi perché capaci di illuminare le differenze tra gli individui, consentendo così la progettazione di sistemi HR più efficaci: premi monetari e non, percorsi di carriera, sistemi di apprendimento e contenuto di ruoli. Forse c'è da riscoprire questa "sapienza" le cui premesse non poggiavano nell'approccio del naturalista, direbbe Bauman, o nelle logiche proprie dell'accounting; piuttosto si tratta della sapienza di chi ha un atteggiamento a comprendere l'altro, capace di fondare la gestione su un approccio più autentico. E' una sapienza che assegna responsabilità precise ai leader, manager e professional delle funzioni HR. Comprendere significa infatti includere, tenere dentro, riconoscere e valorizzare la ricchezza di ciascuno. E' una via stretta che chiede coraggio, talvolta disobbedienza.

Gabriele Gabrielli, Università LUISS Guido Carli, twitter@gabgab58, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

 

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