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     n. 7 anno 2012

La riforma del lavoro: un “romanzo di formazione”

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli e Presidente Fondazione Lavoroperlapersona

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli e Presidente Fondazione Lavoroperlapersona

La storia del lavoro come espressione della persona e patrimonio di diritti; il racconto della sua esperienza a servizio della società e dell'economia e coacervo di doveri e responsabilità verso molti e le generazioni più giovani. Potrebbe essere questo il soggetto di un "romanzo di formazione", un genere che ricostruisce la storia del nostro personaggio, il Lavoro, narrandone le sue componenti cognitive ed emotive, quelle delle persone e degli eventi che ne condizionano la crescita ed evoluzione, fatta di gioia e sofferenza, di successi e sconfitte, di robustezza e fragilità. Per narrare il Lavoro si dovrebbero raccontare, in effetti, le storie dei numerosi personaggi che ne influenzano sviluppo e direzione, intensità e stato di salute; alcune importanti e decisive per la sua "formazione", altre minori e di poco conto che magari ne hanno rallentato solo il passo. Un romanzo ambizioso, difficile da scrivere, perché bisogna districarsi all'interno di una trama fitta di cose importanti e meno importanti, di dimensioni strategiche e tattiche, di preoccupazioni di lungo periodo e angosce del presente.
Un po' come quello che succede in questi giorni, mentre seguiamo la discussione in corso per riformare il lavoro e il suo mercato. Un romanzo giunto forse al suo epilogo, con l'arrivo in Parlamento del disegno di legge approvato dal Governo. E magari, come alcuni temono, con qualche sorpresa. Certamente è una storia dalle buone intenzioni che si muove - sorretta dal piglio deciso dei "tecnici" - per costruire un "mercato del lavoro inclusivo e dinamico", con l'obiettivo di superare il dualismo tra lavoratori protetti e non protetti. C'è anche il rischio però di alimentare qualche confusione e quel "disagio sociale" - la preoccupazione principale del ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera - che include i disoccupati, i cassintegrati, i sottoccupati e i loro familiari. La situazione appare ancora aggrovigliata -se guardata in controluce - in un tessuto di trame talvolta sfocate che si intrecciano senza fine facendo perdere il filo e il senso del percorso e dei temi in discussione. Posizioni che cambiano di continuo, analisi che si susseguono, sofisticate statistiche che tirano da una parte e da un'altra il Lavoro, un po' come con la coperta di Linus che lascia sempre scoperta qualche parte del nostro corpo e non sembra proteggerci abbastanza. Con la riforma si vuole alzare una barricata giusta e da tempo invocata contro il lavoro precario, quello cioè temporaneo e sottopagato, frammentato e senza tutele, che non produce occupazione qualificata e a tempo indeterminato. Si vuol far giustizia della "flessibilità cattiva" - fatta di abusi e tornacontismo - che ha riempito la storia del Lavoro con false partite Iva e false collaborazioni, infarcite di assenza di tutele, di dipendenza economica e psicologica. Qualcuno avverte però di prestare molta attenzione a questo aspetto; sarebbe pericoloso infatti cadere nella trappola del riduzionismo facendo di tutta l'erba un fascio. E' difficile separare ciò che è buono da ciò che non lo è, tra flessibilità cattiva e "flessibilità virtuosa", come l'ha chiamata il Presidente Monti, sia in entrata che in uscita. Va comunque evitata la costruzione - secondo le parole di Dario Di Vico nella lettera al ministro Elsa Fornero - di "un'equazione tra lavoro professionale con partita Iva e irregolari del mercato del lavoro", perché ci sono anche "persone che hanno scelto coscientemente il lavoro ... perché non amano le organizzazioni e le gerarchie, perché possono conciliare meglio professione e impegni di altro tipo". Questa zona va meglio individuata perché meritevole di tutela e valorizzazione. Qualcuno dubita che aver concesso più tempo per gestire le situazioni in essere - secondo l'articolato appena licenziato dal Governo - sia sufficiente per far cessare l'allarme e il timore che le nuove norme possano invece creare maggiore disoccupazione spingendo le imprese, impaurite e disorientate, a riorganizzare la produzione facendo a meno - paradossalmente - proprio del lavoro. Un timore che si aggiunge alla realtà svelata dai dati Istat sul livello di disoccupazione record del 9.3%, che significa che un giovane su tre è senza lavoro e nel mezzogiorno una donna su due non ha un impiego. Insomma, mentre l'attenzione dei media e delle parti sociali si concentra sulla flessibilità in uscita, sul tema dei licenziamenti e delle sue modificate tutele, c'è anche un'altra discussione che invita a non dissipare il lavoro fatto sin qui - seppur con errori e con strumenti non sempre efficaci e pertinenti - su un'altra fetta importante della flessibilità in entrata e a non perdere lo spirito degli interventi di Marco Biagi. Si suggerisce di leggere con più attenzione l'evoluzione del modello organizzativo e economico della società, che reclama una diversa considerazione anche per il lavoro autonomo e di tenere in conto le opportune differenze tra settori produttivi.
C'è da dire, poi, che in questa storia rimane sullo sfondo quella, purtroppo poco o per nulla tracciata, del costo del Lavoro e di quanto la sua insopportabile gravosità ne stia condizionando la crescita in una fase particolarmente delicata del suo sviluppo.
Quello del Lavoro è dunque un romanzo difficile da scrivere, ma il contratto con l'editore va rispettato e occorre quindi continuare a scrivere, emendare, aggiustare e semplificare. Forse bisognerebbe verificare in qualche punto ancora la trama e il ruolo di alcuni personaggi. L'inchiostro non manca, né - ci auguriamo - la responsabilità e competenza narrativa degli autori.

www.lavoroperlapersona.it

 

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