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     n. 15 anno 2011

Le conseguenze “sconfinate” dell’agire organizzativo

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

I contesti organizzati sono sistemi complessi intessuti di fitte trame in cui si intrecciano relazioni. Possono riguardare persone, strutture organizzative e ruoli, gruppi. Ma gli oggetti che ci circondano e che popolano l'ambiente intorno a noi. "Dal momento che agiamo sempre entro questa rete di rapporti", scriveva Hannah Arendt, "le conseguenze di ogni atto sono sconfinate" [Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva, Ombre Corte, Verona, 1997]. Intraprendere e organizzare attività di ogni genere, che abbiano natura economica e produttiva di beni e servizi o altro poco importa in questa prospettiva, e fare management, ossia far funzionare l'organizzazione combinando risorse assicurando i molteplici processi decisionali che essa richiede, condividono entrambi -a qualunque livello- questa natura ineluttabile sulla portata delle loro conseguenze. Non si può scantonare e scivolar via in silenzio da questo terreno schivando decisioni, preoccupazioni, conflitti. A ben vedere, guidare organizzazioni e uomini, tracciare una visione, marcare lo spazio organizzativo e relazionale con la propria azione significa sempre orientare un fascio di luce potente sulla responsabilità, sulle azioni e sulle sue conseguenze. Ogni leadership, buona o cattiva che sia, da valorizzare o rottamare [Vitullo A., Leadershit, Ponte alle Grazie, Milano 2011] è "sconfinata" in questo senso, proprio perché inevitabile e difficilmente addomesticabile; non la si può esorcizzare -sono ancora parole della Arendt- "restringendo la propria azione entro una cornice o entro circostanze delimitate e controllabili ...".
Ogni epoca per questo è riconoscibile, attraverso la riflessione distaccata che ne traccia lo storico, da tratti propri che ne caratterizzano la cultura, la società con i suoi suoni e colori, l'economia che danza tra l'entusiasmo dei picchi di crescita e il disorientamento dei crolli, la conoscenza e l'innovazione, le applicazioni della tecnica tentata dal rincorrere l'onnipotenza. Ogni epoca ha quindi anche la sua responsabilità. Si condensa nelle storie e nell'agire dei suoi "cittadini" e, nel mondo delle organizzazioni complesse, in primo luogo in quelle di chi le guida segnandone il cammino, tessendo o riducendo legami, valorizzando o dissipando risorse. Ogni epoca, per questo, lascia tracce indelebili segnate dalle impronte delle donne e degli uomini che l'hanno attraversata.
Riflettere sul fenomeno organizzativo come tessuto di legami e percorsi narrativi con trame diverse e variopinte, intrecciato da azioni umane e dalle loro conseguenze, esige, dunque, che ci si ponga sempre nell'ottica della prospettiva futura e delle prossime generazioni. Il peso della "sconfinatezza", infatti, non può accontentarsi dello sguardo rivolto al passato. Non è facile però. Perché questa è un'epoca di frastuono e fracasso, disorientata dall'ideologia del fare, lasciata troppo spesso alla guida ondivaga dell'ideologia della crescita [Mancini R., Idee eretiche, Altra Economia, Milano, 2011] e degli automatismi che dissipano energie e risorse [Rullani, Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Marsilio, Venezia, 2010]. Sta crescendo però la consapevolezza che adagiarsi supinamente (o galleggiare) in una società dominata solo dall'economia è come coltivare in casa piante necrofore che ti tolgono ossigeno e respiro. E si corre così anche il rischio, dentro la società e nelle organizzazioni, di perdere non soltanto "l'opportunità di sintonizzarci l'uno con l'altro", ma anche quello di ridurre significativamente o annullare del tutto il tempo "per sintonizzarci con noi stessi" [Siegel J. D., Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009].
Il valore di una leadership e di un management responsabile, allora, può ricominciare proprio da qui. Da una strategia e da un percorso personale di consapevolezza che rivendichi il diritto a riconquistare innanzi tutto il terreno dove coltivare relazioni con gli altri, riducendo la distanza a prossimità, e con gli oggetti che popolano l'ambiente. Gli uni e gli altri, le persone e le cose, meritano rispetto e devono avere futuro.

 

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