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     n. 13 anno 2011

Sono le persone che costruiscono la cultura

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Nell'epoca attuale ha assunto rilievo centrale la dimensione culturale per comprendere quello che ci accade tutto intorno e per costruire comportamenti personali e politiche organizzative adeguate al suo dinamismo. Del resto, questo è il tempo del confronto e dello scontro di molte culture, identità, comunità. Sono sempre più numerose, infatti, le istanze di riconoscimento di dimensioni locali, culturali, etniche, religiose e quant'altro possa essere rivendicato quale presupposto di diversità e per marcare territori identitari. Queste istanze appaiono talvolta più silenziose, in qualche caso invece "alzano la voce" per urlare e marcare la loro identità e compattezza a livello politico, economico e sociale.
Lo stesso fenomeno della "globalizzazione" o, con un termine che piace di più al di là delle Alpi, della "mondializzazione" chiama in causa la pluralità di culture e di modi di vedere la società e, ancor prima, se stessi e la comunità cui ci si sente di appartenere. Il dibattito scientifico e interdisciplinare sugli approcci più fecondi per discutere di cultura è assai ampio e ben lontano dal sopirsi. Tutt'altro. In questo periodo sta esplodendo -come dicevamo- segno evidente di un bisogno e di una domanda forte in un'epoca che crea molto disorientamento tra le urla dei fondamentalismi e gli inviti accomodanti del relativismo. Il dibattito crescente pone in effetti numerose questioni che si moltiplicano insieme alla complessità e alle molte sfaccettature della diversità. La cultura è una "realtà oggettiva" che pre-esiste e che influenza dall'esterno gli individui con i suoi artefatti e simboli, ovvero la persona ha capacità di agire interloquendo e modificando l'ambiente? Tutto ciò che facciamo e pensiamo è il prodotto della cultura in cui siamo immersi o la cultura è il prodotto dinamico - nel tempo e nel contesto - di una interazione tra istituzioni, organizzazioni e individui? Sono soltanto alcune delle domande che ci possiamo porre, interrogandoci sul tema. Quello che va sottolineato è che assumere una prospettiva piuttosto che un'altra nell'affrontare tali questioni porta con sé conseguenze molto diverse in termini di scelte politiche, economiche e sociali. Anche nelle organizzazioni e nelle imprese la questione di come atteggiarsi di fronte alla cultura è oggi al centro della visione e della strategia del management. Non è indifferente, infatti, guardare la propria organizzazione come una cultura "superiore" e da non contaminare, ovvero guardarla come una delle molte culture che popolano il mondo e i mercati. O ancora pensare alle dinamiche organizzative come a una tensione continua tra "la" cultura aziendale originaria e la soggettività degli individui che deve adattarsi a questa. Ancora diverse saranno, poi, le implicazioni di una visione che guarda al fenomeno organizzativo e alle sue dinamiche come a un luogo dove si costruisce uno scambio continuo che consente ai suoi molteplici attori di costruire nuovi ambienti, avanzando in un percorso inter-culturale e di reciproca contaminazione. In questa prospettiva, per esempio, assumerà valenza decisiva lo strumento narrativo, inteso come risorsa dei protagonisti della cultura che "sono le-persone-nel-loro-contesto-sociale" [Mantovani G., Intercultura, Il Mulino, Bologna, 2004]. In questa direzione, perde forza e tonalità approcciare la cultura come qualcosa di "distintivo di un gruppo", mentre apparirà decisiva l'agency come proprietà delle persone e come dimensione attraverso cui cogliere "il cambiamento che l'azione degli agenti introduce incessantemente nella società". A seconda del punto di vista scelto cambieranno, è evidente, anche l'approccio alla leadership, le strategie, le politiche e gli strumenti per organizzare e gestire le risorse umane. Crediamo, ad esempio, che dietro il nuovo modello di leadership che Sergio Marchionne ha enunciato nel 2005 all'insegna del leading change e leading people ci fosse questa convinzione, ossia l'intento di incoraggiare il senso di responsabilità individuale e "la capacità di portare se stessi nell'esperienza" [Garello F., Provana R., FIAT people, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2008]. Ma tutta la strategia di people management potrà cambiare e orientare i processi di gestione. Come, per esempio, quelli di socializzazione degli individui nei contesti organizzativi. Potranno essere diretti, in un caso, ad affermare la verità propria del fondamentalismo culturale dell'organizzazione; potranno porre maggiore attenzione a costruire, in altri casi, culture aperte capaci di accogliere e sollecitare il contributo della pluralità dei punti di vista, consentendo così di sviluppare una conversazione con le persone, liberandole dalla forza irresistibile della cultura che imprigiona, come un bozzolo, le persone [l'efficace espressione è di Gerd Baumann citato da G. Mantovani già ricordato]. Le pratiche e i programmi di induction, così, assumeranno più i toni di un ingaggio autoritario nel primo caso che sarà volto ad appiattire ogni cosa riportandola all'unicità dell'identità organizzativa, mentre privilegeranno nel secondo la volontà di conoscere in profondità le persone ed allenarle a disporre di menti e competenze interculturali [Anolli L., La mente multiculturale, Laterza, Roma-Bari, 2006] capaci di leggere e valorizzare la pluralità dei significati che la società e l'economia ci stanno proponendo anche nei luoghi di lavoro. Sul terreno di quale approccio adottare riguardo alla cultura si sta giocando, anche nelle organizzazioni e nelle imprese, una guerra non di poco conto fra quanti rivendicano il diritto di monopolizzare la strategia e la gestione facendo leva e reificando la specificità e quanti, invece, non senza fatica, sentono la necessità di sperimentare forme e pratiche organizzative più aperte e inclusive. La selezione, la valutazione, i sistemi di sviluppo, quelli di carriera e tutte le politiche di Human Resources Management stanno vivendo queste dinamiche, anche se è ancora difficile cogliere appieno il segno della loro effettiva portata di cambiamento radicale. Ma i segnali ci sono e cominciano a diffondersi, anche se non accompagnati, forse, da una robusta crescita di consapevolezza. La posta in gioco però è alta, perché si tratta di disegnare i nuovi modelli che si dimostreranno utili per gestire con successo la rottura dei fondamentalismi organizzativi e potenziare le opportunità di un approccio pluralistico nella gestione delle persone valorizzando apertura, porosità di sistemi, generatività della narrazione come strumento di management e di agency.

 

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