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     n. 7 anno 2011

L’”Effetto San Matteo” in un Paese più povero

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Qualche giorno fa il Ministero delle Finanze ha reso note le statistiche relative ai redditi delle persone fisiche prodotti nel 2009. Le prospettive con cui leggerle sono molte. Calano i redditi più alti nel nostro Paese; quelli superiori ai 200.000 euro, infatti, si assottigliano a uno 0,17%. "Il fisco perde i redditi più alti. I ricchi d'Italia calano del 7 per cento", titola Il Sole 24 Ore dell'11 marzo. Il Paese dunque si impoverisce. La notizia preoccupa, accendendo i riflettori sulla fragilità delle entrate dello Stato che, riducendosi la ricchezza prodotta, dovrebbero diminuire con evidenti ripercussioni sul fabbisogno e sulla gestione economica. Se leggiamo i numeri con un'altra lente, però, balza agli occhi almeno un altro dato che allarma. Nel 2010 sono scesi di circa un 10% i contribuenti tra i 15 e i 24 anni. "Dalle dichiarazioni dei redditi scompaiono 200mila giovani", scrive La Repubblica del 13 marzo. Anche questa assenza finirà per pesare sulle entrate del Fisco, ma qui preoccupa di più l'inequivocabile conferma che la crisi del lavoro continua a graffiare in profondità, espellendo dal mercato anche migliaia di giovani. Sono numeri importanti sia per le dimensioni, sia per il significato che assumono. Riguardo alle prime possiamo aggiungere due considerazioni. Innanzi tutto, che il dato non deve sorprendere, se è vero che nel biennio 2009-2010 sono andati persi 540.000 posti di lavoro e, in secondo luogo, che il Fisco non può aspettarsi notizie migliori dal futuro, almeno sotto questo profilo, vista la rilevanza crescente del numero dei cosiddetti NEET ("Not in Education, Employment or Training"), ossia di coloro che non lavorano, non studiano e nemmeno cercano un impiego, giunti ormai alle 2.242.000 unità [Dario Di Vico, Tutti i numeri dell'Italia, Corriere della Sera, Sette, 17 febbraio 2011]. Abbiamo di fronte un processo di impoverimento generale, cui certamente contribuisce "il lavoro che non c'è". Le crisi aziendali, in verità, non sono terminate; le imprese continuano a ristrutturare per cercare di sopravvivere. C'è ancora un'altra prospettiva, però, da cui guardare questi dati. E' quella della crescente disuguaglianza sociale e della incapacità delle politiche, nel loro insieme, di ridistribuire in maniera più efficace la ricchezza. Se è vero che ci stiamo impoverendo, ci sono altre evidenze che segnalano tuttavia come la ricchezza si stia concentrando in mano di pochi. "Super ricchi o super poveri", insomma, perché nel 10% delle famiglie si concentra la proprietà del 45% degli immobili e dei titoli [L'Espresso, 11 marzo 2011]. Ma quello della "giustizia distributiva" è un tema che va stretto nei confini nazionali. Occorre una prospettiva globale. Gli studiosi e i ricercatori di tutto il mondo stanno da tempo illuminando i contorni del fenomeno e la sua pericolosità per la democrazia, per i cittadini, per le persone Non è casuale allora che proprio in questi giorni stiano uscendo due libri che, seppur da prospettive diverse, discutono la questione. Entrambi richiamano la teoria del premio Nobel per l'economia Robert K. Merton, che va sotto il nome di "Effetto San Matteo", per aver fatto riferimento a uno tra i più noti passaggi del Vangelo: "... a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha" (Matteo, 13,12). Insomma, il paradosso è che chi sta bene continua a star meglio e chi sta male continua a star peggio. "Sempre più ricchi sempre più poveri" è, infatti, il titolo del volume scritto dall'economista e sociologo americano Daniel Rigney [Etas, Milano, 2011]. L'altro lavoro, invece, proviene da un gruppo di ricercatori italiani [Saraceno C., Revelli M., Dovis P., I nuovi poveri. Politiche per le diseguaglianze, Codice Editore, 2011] e guarda più da vicino alle tante persone che incontriamo tutti i giorni anche per strada e che rischiano di essere escluse dalla società. Tutte le prospettive che abbiamo richiamato vanno guardate nel loro insieme, perché sono profondamente interrelate. Crediamo però che giochino su piani diversi e che bisogna distinguere. C'è bisogno di una visione, anche perché senza una gerarchia delle priorità è difficile indirizzare efficacemente le azioni.

www.gabrielegabrielli.com

 

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