hronline
     n. 9 anno 2010

Generation mix: una occasione non solo per l’HRM

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Le trasformazioni che viviamo sono molte. Questo primo scorcio del nuovo millennio non sembra lesinare cambiamenti, accompagnati dalla messa in discussione di vecchi modelli e tradizionali modi di pensare. Anche le organizzazioni e le imprese hanno un gran da fare per star dietro alle sollecitazioni di una società che muta pelle, a una economia che ridisegna modelli di business e geografia economica accendendo i riflettori su nuovi attori e abbassando le attese verso altri. Tutto questo sta chiedendo anche alla Funzione HR e a i suoi professionisti di allenarsi per gestire nuove questioni, sperimentando strumenti e costruendo approcci innovativi e più aperti al pluralismo. Tra le questioni più complesse che si affacciano sul palcoscenico dei contesti organizzati e nei luoghi di lavoro vi è certamente quella del confronto generazionale. Sappiamo bene di che si tratta, ma qualche dato può aiutare la riflessione che proponiamo. Nel mondo del lavoro sta entrando la "generazione y", quella cui appartengono, cioè, coloro che hanno un'età compresa tra i 20 e i 30 anni. Una moltitudine di giovani che è cresciuta prevalentemente nell'epoca della rete, che vive come "surfisti" del web, in simbiosi con la blogsfera, l'instant messanging e i social network. Una generazione poco confidente sulle prospettive di medio-lungo periodo, abituata più a guardare al breve su cui l'incertezza in cui viviamo spinge tutti. Non sono così tanti, in verità; o meglio non sono poi così numerosi se li confrontiamo con la massa di forza lavoro attiva con un'età uguale o superiore ai 55 anni. Quest'ultima sta continuando a crescere e rappresenterà nel 2020, secondo alcune stime, oltre il 40 %. Nell'ultimo decennio è anche cresciuta di molto l'aspettativa di vita, che proseguirà ad incrementarsi grazie agli sviluppi della ricerca scientifica e al miglioramento generale delle condizioni sociali. Tutte circostanze che allungano significativamente il periodo di attività lavorativa, allontanando così in prospettiva il momento di uscita dal mercato del lavoro e il godimento della pensione. Già sta succedendo che molte persone appartenenti alla categoria dei baby boomers, ossia quelli nati sostanzialmente tra il 1946 e la metà degli anni sessanta, invece che ritirarsi dal lavoro continuano a rimanervi, competendo con le nuove generazioni che faticano invece a trovare una occupazione. La prospettiva che abbiamo, allora, è quella di vedere aumentare in maniera consistente, nei prossimi anni, la convivenza di più generazioni negli stessi spazi organizzativi e produttivi . Non è una questione di poco conto. Organizzazioni, imprese e management dovranno gestire un significativo fenomeno di generation mix, ossia la co-presenza di numerose generazioni negli ambienti di lavoro, nate e cresciute in epoche diverse, portatrici di valori e culture differenti; con atteggiamenti profondamente diversi riguardo il lavoro e la sua importanza, la tecnologia, il tempo, il successo e la carriera. Si tratta di una sfida importante che richiederà approcci e strumenti di gestione delle risorse umane nuovi. Sarà possibile estrarre valore da questa esperienza a vantaggio dell'intera società, ovvero prevarranno gli atteggiamenti che considerano questo fenomeno una minaccia? L'Age Diversity Management, d'altro canto, è solo una delle tante dimensioni attraverso cui il tema della diversità si presenta nella società contemporanea, nell'economia e nel lavoro. Non c'è bisogno di sottolineare quanto la questione sia complessa coinvolgendo più interessi e prospettive. Meno evidente invece, è forse la sua natura prepotente e pervasiva che ne fa una dimensione critica e nello stesso tempo qualificante di questo inizio millennio. Il tema di come far convivere le molte diversità presenti nella società è questione senza dubbio "trasversale", nel senso che occupa già l'agenda della politica, dell'economia e del lavoro, della scienza e della fede. Non ha confini e tocca ogni ambiente umano e sociale. Creare valore e trarre energia dal confronto generazionale è però possibile. Ci sono numerose esperienze organizzative ormai (sia presso aziende e contesti multinazionali che nazionali e locali) che, supportate anche dai risultati di molte ricerche e studi empirici, testimoniano come sia possibile far lavorare bene persone di ogni età e trarre da questo grandi benefici. Occorrono certamente cultura, politiche e strumenti adeguati; così come l'apertura alla sperimentazione e all'innovazione, per sviluppare cultura del rispetto e pratica dell'ostracismo verso ogni pregiudizio. Le organizzazioni -grazie alle politiche di diversity management, di cui quelle legate all'età rappresentano soltanto l'ultima- possono diventare in realtà vere e proprie palestre per allenare la società intera alla pratica dell'inclusione. Possiamo guardare alle imprese, allora, come a veri e propri laboratori per testare un nuovo vivere civile fondato sulla valorizzazione e sul riconoscimento della diversità. Da quanto impegno verrà dedicato per affrontare questa sfida dipenderà -nei prossimi anni- una fetta consistente della qualità della vita e del benessere sociale. Le "alleanze generazionali" che si stanno sperimentando in molte esperienze aziendali testimonieranno con forza, così, che la "tavola" apparecchiata per il vivere sociale è imbandita per tutti, valorizzando l'efficacia di politiche inclusive anche nella società e non soltanto nei luoghi di lavoro.

 

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