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     n. 18 anno 2010

Il lavoro che non c’è fa impressione

di Gabriele Gabrielli, Docente Università Luiss Guido Carli

di Gabriele Gabrielli, Docente Università Luiss Guido Carli

Le cifre non richiedono molti commenti perché sono impressionanti. In meno di due anni il numero degli occupati nel Paese si è ridotto di oltre 500.000 persone con un tasso di disoccupazione che ha raggiunto l'8.5 % della forza lavoro. E' vero, stiamo meglio di molti altri. Ma questa è soprattutto una valutazione interessante per i ricercatori, meno per le persone e le famiglie. Se si considerano, poi, anche quanti sono in cassa integrazione o quelli che, scoraggiati, non cercano nemmeno più di impiegarsi, la percentuale arriva all'11%. Significa che questo Paese si può permettere di non utilizzare oltre 10 risorse su 100 disponibili e di gettare via così produttività, reddito e crescita. Dominique Strauss-Kahn aggiunge nuova benzina su un fuoco già alto e che minaccia di incendiare le strutture portanti della società. Ampliando la prospettiva a livello internazionale, afferma che sono andati persi nel mondo oltre 30 milioni di posti di lavoro. Impressiona enormemente sentir dire dal direttore generale del Fondo Monetario Internazionale che nei prossimi anni occorrerà mettere in sicurezza più di 400 milioni di posti di lavoro. L'imponenza di questi numeri farebbe sobbalzare sulla sedia anche i governi e la politica più addormentati. E' una situazione così allarmante che meriterebbe ben altro delle rituali prese di posizione che si registrano e che si limitano ad evidenziare la necessità di mettere il lavoro al primo punto. Con quale convinzione, ci si domanda, visto che l'agenda continua a riciclare questioni lontane dai bisogni reali delle persone. Ma che Italia è mai questa? Possibile che si sia arrivati a tale indifferenza? "Non è il paese che sognavo", è il titolo dell'ultimo libro di Carlo Azeglio Ciampi. La Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha lanciato una sorta di ultimatum al Governo perché si assuma la responsabilità di guidare il Paese concentrandosi su temi concreti e decisivi come il rilancio dello sviluppo produttivo e l'occupazione. Il sindacato, seppur con toni e sfumature diverse, ha fatto lo stesso; così anche l'opposizione. Ma oltre non si va. Non succede niente che lasci intendere un reale cambio di marcia e la volontà concreta di porre lo sviluppo del lavoro davvero al centro delle preoccupazioni di chi ci guida. Si è affaccendati in altre cose e ci si limita a una difesa d'ufficio di quanto fatto affidata al Ministro del Welfare Maurizio Sacconi. E in questo modo la distanza tra il Paese e la politica aumenta; e, insieme, il "rumore" delle piazze che non vogliono assistere inermi a questo gioco chiedendo invece responsabilità e decisioni. Perché nelle città e sul territorio sono in molti che continuano a pensare che sotto questa cenere eruttata dal cratere di una politica uscita di senno che produce sgomento e incredulità, anziché sostegno e orientamento, c'è un'altra Italia; un'Italia diversa fatta di gente operosa e responsabile, abbarbicata a valori irrinunciabili che cova stizza e voglia di destarsi. Malgrado tutto, condividiamo la convinzione che c'è "un'Italia differente. Migliore. Più sana. Più pulita e trasparente. Molto più concreta. Lontana anni luce dai Grandi Fratelli e dai talk show televisivi. Dai politici mascalzoni e bugiardi, strafottenti e anche un pochino abietti, dai loro loschi giochini di potere, dalla loro siderale lontananza dai bisogni reali della gente". Sono parole di Pietro Calabrese, il grande giornalista stroncato recentemente dal cancro. Le prendiamo a prestito dal suo bel volume L'albero dei mille anni [Rizzoli, 2010] per fondarci la speranza che il fuoco della responsabilità possa essere al più presto riattizzato a cominciare dalla questione del lavoro e dell'occupazione.

www.gabrielegabrielli.com

 

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