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     n. 12 anno 2009

Ricostruiamo il lavoro

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

"Ricostruzione"; è' stata questa la parola, si ricorderà, che ha unito tutti il 1° maggio nelle piazze del Paese. C'è voglia di riprendere in mano una situazione che ci da più parti sfuggita. Questo è un buon periodo, allora, per rimboccarsi le maniche e "ricostruire". Le "opere" da compiere sono molte, ma resta fondamentale trovare la più ampia convergenza sulle priorità. Ne vediamo almeno quattro.
Per ricostruire il lavoro, innanzi tutto, bisogna mettere al centro del programma di investimenti quel "People first" che il Ministro Sacconi ha efficacemente posto alla base degli incontri del Summit sociale del G8 di fine marzo e, più recentemente, del Libro Bianco. Significa quindi rimettere al centro, secondo le parole del cardinale Angelo Scola intervenuto qualche giorno fa a un seminario su crisi e economia alla Luiss, il "soggetto del lavoro" con tutte le sue implicazioni. Questo comporta cambiare anche radicalmente modi di pensare e di fare. Mettere al centro la persona minaccia molte posizioni.
Ma per "ricostruire il lavoro" è necessario anche una ritrovata''unitarietà sindacale" e una stabile strategia di governo della rappresentanza del lavoro. Molti fattori in realtà la rendono difficile. Molti concorrono a destabilizzarla e a farla apparire, talvolta, come un retaggio del passato, un po' fuori moda in un'epoca così fluida e frammentata. Il Sindacato, come tutti i soggetti di rappresentanza in questa fase di profonda trasformazione, deve dirimere molte questioni, ma soprattutto ha necessità di sviluppare un grande dibattito attorno al quale "ricostruire" una visione di lungo periodo sulle sue ragioni, i suoi ideali e la sua missione. Solo attraverso una riflessione accurata e seria si potrà uscire da questo contesto di "accerchiamento" ove -lo ha scritto Guido Baglioni nel suo ultimo bel libro- si intravedono "crescenti difficoltà per l'azione sindacale" e una "riduzione complessiva" della sua tutela.
La "ricostruzione del lavoro" passa, poi, per la capacità di leggere e valorizzare le trasformazioni demografiche (nel senso più ampio, e quindi anche culturale, del termine) del mercato del lavoro dovute a tanti e concomitanti fattori come l'allungamento delle aspettative di vita, l'invecchiamento della popolazione, la crescente (ma ancora insufficiente) partecipazione femminile al lavoro e quella degli immigrati. Quest'ultima, anche alla luce del dibattito politico e istituzionale di questo ultimo periodo, ci sembra la più delicata e urgente.
C'è infine un'altra direzione da percorrere per fondare su solide basi la "ricostruzione". E' la dimensione della responsabilità personale, quella che spesso ci viene a tutti comodo nascondere dietro il comportamento di qualcun altro. E' la dimensione più intima e fuori dai riflettori; la meno visibile, ma anche quella, forse, che può costituire il vero motore della "ricostruzione" attorno a più solide basi su cui fondare una nuova progettualità sul lavoro, per noi stessi e per le generazioni successive.

 

 

 

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