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     n. 4 anno 2009

Immigrati e lavoro. Le "buone pratiche" dell’impresa possono aiutare la politica

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Il lavoro degli immigrati nel nostro Paese continua ad essere molto discusso. La crisi ne ha poi accentuato i toni negli ultimi mesi; speriamo che la punta sia stata toccata in questi giorni e che ora si possa affrontare questo tema complesso rimettendo al centro la persona e le ragioni della convivenza umana. Il dibattito è stato caotico con un susseguirsi di prese di posizione di ogni genere. Si è dibattuto a lungo, per esempio, sulla opportunità di una "moratoria" dei flussi di nuova immigrazione perchè renderebbe insicura l'occupazione degli italiani. Di fronte a risorse scarse (il lavoro) c'è sempre la tentazione di chiudersi dentro forme di protezionismo di qualunque natura. Così come non sono mancate e non mancano dichiarazioni che alimentano la paura e atteggiamenti contrari alla cultura dell' "inclusività" e dell' "accoglienza". A noi sembrano scolpite sulla pietra, invece, le parole di Giorgio Napolitano secondo cui gli immigrati sono "un fattore di freschezza e forza". Del resto oramai rappresentano una forza significativa, non solo quantitativamente, sia del "lavoro" che dell'"imprenditoria". Mettiamo fine dunque a questa battaglia sbagliata sia civilmente che economicamente. Ma cosa pensano gli italiani? I risultati di un recente sondaggio di Ipsos PA per il Corriere della Sera [20 novembre 2008] ci danno un'idea di cosa stia succedendo e i rischi che ne conseguono. C'è un gruppo minoritario di cittadini "positivo" nei confronti degli immigrati, un gruppo più numeroso che è "ostile" perché li considera una minaccia e un terzo gruppo infine, ancora più rilevante numericamente, di "pragmatici", persone cioè che pur non considerando l'immigrazione una minaccia sono consapevoli che costituisce un problema da affrontare. Possono aiutare questa situazione, ci domandiamo, prese di posizione che accrescono diffidenza, alimentando chiusura ed ostilità verso l'"altro"? Non crediamo proprio, anzi crediamo che siano profondamente irresponsabili. Ben vengano allora dichiarazioni come quella del Presidente dell'Antimafia, Beppe Pisanu [Corriere della Sera, 2 febbraio), che prova a ricollocare la questione anche nel suo significato di realtà: "...l'immigrazione è un fenomeno che orienterà i processi economici e sociali dell'Europa per un secolo, non lo si può affrontare con l'orecchio teso alle voci delle osterie della Bassa padana". Il Presidente della Repubblica, dopo i "raccapriccianti" episodi più recenti, è ritornato sulla questione avvertendo che siamo di fronte oramai non a fatti isolati, ma a "sintomi allarmanti di tendenze diffuse". In questo contesto, la testimonianza di un giusto approccio alla gestione, integrazione e valorizzazione degli immigrati nella società e nel lavoro, può venire dalle imprese che possono aiutare molto in questa direzione. Ci sono molte aziende, multinazionali e domestiche, a proprietà diffusa e a controllo famigliare, grandi e piccole, che stanno battendo con eccellenti risultati una strada diversa, quella che poggia cioè sulla consapevolezza che successo aziendale e integrazione, performance e valorizzazione della diversità fanno la differenza. Ce n'è ampia e documentata prova, solo per fare un esempio, in una recente inchiesta dal titolo Rapporto Lavoro senza frontiere pubblicata da Affari & Finanza de La Repubblica del 20 ottobre scorso. Non bisogna mai dimenticare poi che tutti siamo stati o diventeremo emigrati in questo mondo. A tal proposito fa molto riflettere la notizia che decine di migliaia di manager e professionisti dell'Occidente in piena crisi stanno "cercando lavoro" nei paesi a più alto tasso di crescita [L.Grassia, Ora l'America emigra in India, La Stampa, 22 novembre 2008]. E' proprio vero che nel mondo c'è un lavoro per tutti; occorre però credere che il mondo appartenga a tutti. Possiamo dire che almeno qui le "buone pratiche" delle imprese possono aiutare la politica. Non dimentichiamo poi che tutti siamo stati o, forse, diventeremo emigrati in questo mondo. Una prova? "Via gli operai italiani, ci rubano il lavoro" è stata la reazione di alcune maestranze inglesi contro la decisione di una raffineria di petrolio sulla costa orientale dell'Inghilterra di assumere un gruppo di lavoratori italiani.
Chi la fa se l'aspetti!

 

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