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     n. 14 anno 2008

I “colori” della gestione

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Quando si sta con gli altri non si può vedere il mondo solo da una prospettiva, cioè quella nostra. E con gli altri ci stiamo sempre nel lavoro, qualunque ruolo si occupi. A dispetto delle classificazioni che utilizziamo per semplicare opportunamente la complessità organizzativa, secondo cui ci sono job "solitari" e altri no, la verità è che, se abbandoniamo queste pur utili declaratorie e tassonomie, "si lavora sempre in compagnia". L'ascolto e il confronto allora diventano condizioni normali e presupposto dell'efficacia e produttività delle relazioni, anche quelle professionali e organizzative. E' poco auspicabile così, spesso è addirittura dannoso, che ci si irrigidisca pregiudizialmente nel voler mantenere fermo e immobile il proprio punto di vista e non cambiare mai angolo di osservazione, se non altro "per vedere ...di nascosto l'effetto che fa", secondo la nota canzone di Enzo Iannacci. Questo comportamento in verità pregiudica l'efficacia organizzativa e anche la crescita delle persone e di noi stessi. Se non si è disponibili a "ruotare" e vedere da un altro punto di vista la realtà si rischia di perdere molto; quante cose non si vedono e quanti particolari potranno sfuggirci! Pier Luigi Celli [Narrare la leadership, Luiss University Press, Roma 2007] scrive che siamo tutti uomini disposti sui confini "e lungo incroci di più confini. Quando si è sul confine l'adozione di una pluralità di punti di vista diventa indispensabile". Tendenzialmente invece siamo portati a modificare i confini in "frontiere", pretendendo di "catalogare" tutto dalla nostra posizione. C'è una metafora straordinaria di Plutarco che fa al nostro caso: "Quando si travasa qualcosa, la gente inclina e ruota i vasi perché l'operazione riesca bene e non ci siano dispersioni, mentre quando ascolta non impara a offrire se stessa a chi parla e a seguire attentamente, perché non le sfugga nessuna affermazione" [L'arte di ascoltare, Mondatori, Milano 1995]. Se non si è disponibili a ruotare ed inclinarsi è davvero complicato poter gestire organizzazioni e persone. Quello del "punto di vista" e dell'orientamento a ruotare è una prospettiva con cui occorre fare i conti se si vuole "riconoscere" l'altro, il diverso da te e che proprio per questo contribuisce a "dare forma" anche a te stesso. Non bisogna però confondere questa attitudine, che è una vera e propria competenza da costruire e praticare, con la fermezza e convinzione con cui si sostiene il proprio "posizionamento", cioè la finalità cui riteniamo sia giusto asservire la nostra azione, i nostri progetti e stili di management. Talvolta questa finalità ci sembra poco raggiungibile e ci viene voglia di abbandonare, perchè resa opaca dalla nostra incapacità di perseguirla sempre con atti nitidi, con decisioni nette e senza sfumature. E' vero! Il posizionamento deve avere per forza un suo colore e una sua riconoscibilità; pere esempio, bianco o nero. E quando l'hai scelto il tuo comportamento non potrà non farci i conti e misurarsi con esso. Sappiamo bene però che il terreno delle decisioni è difficile e scivoloso, pieno di "ma" e di "se"; e ci mette tutti a dura prova. Non bisogna evitare o eludere questa situazione cadendo nella trappola del "tanto non è possibile". L'agire umano, anche nel management delle persone e delle organizzazioni, è scandito da un percorso e da un sequenza di sfide quotidiane che prendono sempre più il colore, se ci lavoriamo con determinazione e coraggio, del posizionamento scelto. La gestione, in questo senso, è una tavolozza di "grigi"; l'importante è che progressivamente le decisioni che si assumono prendano tonalità di grigio sempre più chiaro, se si è scelto il bianco, o tonalità di grigio sempre più scuro se si è scelto il nero. C'è una bella storia nel libro di Randy Pausch [L'ultima lezione, Rizzoli, 2008] che ci conforta nella convinzione che abbiamo maturato. Randy conosce bene i suoi limiti e sa che molti si lamentano della sua "rigidità". Si dichiara "colpevole". Da giovane diceva: "...la mia scatola di pastelli contiene solo due colori: bianco e nero". Subito dopo aggiunge, però, che "Invecchiando ... ho imparato a capire che una buona scatola di pastelli ha più colori". Questo non toglie, d'altra parte, che occorre lottare per il proprio posizionamento, anche se disponibili a ruotare e inclinarsi per cogliere le diversitài; perché, scrive ancora il professore della Carnegie Mellon University, "se si vive la vita nel modo giusto, il bianco e nero si consumeranno prima degli altri colori".

 

 

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