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     n. 11 anno 2008

Spunti e provocazioni per una diversa governance

di Gabriele Gabrielli - Docente Università LUISS Guido Carli

Mai come nelle epoche di forte transizione (la nostra forse non lo è?) si ricerca e ci si interroga sul senso della vita, sul ruolo che si riveste nei diversi contesti sociali in cui si opera, su quale contributo gli "altri" -i nostri familiari, gli amici, i capi e gli stakeholder- si aspettano da noi. Insomma, l'ansia che deriva dall'incertezza propria dei momenti di passaggio, fitti di disorientamento e confusione, ci porta con insistenza a interrogarci su quale sia il "nostro ... posto sotto il sole"! Non sfuggono certo a questo clima le Direzioni Risorse Umane o, come le si chiamino nelle diverse culture e contesti organizzativi, le strutture che hanno la responsabilità di progettare ed implementare politiche, sistemi e strumenti di gestione delle persone coerenti con le strategie dell'organizzazione e capaci di contribuire con successo alla loro realizzazione. Questo che viviamo, in effetti, è un periodo sovraffollato di appuntamenti, convegni, congressi e seminari dedicati a discutere e dibattere le domande da cui siamo partiti anche nell'ambito professionale. Gli obiettivi che si vogliono perseguire sono molti. Questa ricerca ha, forse, anche la funzione di esorcizzare la paura che la Funzione (e quanti ne condividono le sorti) ha di essere relegata a ruoli marginali e secondari; si costruiscono così occasioni per richiamare un po' di attenzione e, soprattutto, accendere qualche riflettore che, spettacolarizzando il tema, faccia portar via questo timore -come un detrito nel fiume in piena- dal fascino mediatico dell'evento e della "comparsa". Dietro questa giostra di eventi si nascondono in realtà temi davvero importanti e strategici per il ruolo, per le competenze e per il posizionamento della Funzione. Ha proprio ragione Walter Passerini quando scrive che la professione del direttore delle risorse umane è oggi alla ricerca di "qualcosa di più del puro aggiornamento della cassetta degli attrezzi del mestiere"; e che, forse, occorrerebbero direttori "speciali" [Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2008]. Questione complessa e piena di trappole! Nel riflettere sulla sua portata, crediamo che non si possano sottovalutare tre variabili critiche: il "tempo", il "contesto" delle organizzazioni e la "personalità" dei Direttori Risorse Umane. La risultante dell'incrocio di queste variabili è infatti essenziale per determinare o quantomeno "segnare" la strada per assumere concretamente un ruolo -al di là degli slogan dei meeting o delle dichiarazioni preparate per interviste e servizi editoriali- di business partner dello sviluppo delle imprese [si veda, al riguardo, il recente studio di Boston Consulting Group commentato da Cristina Casadei su Il Sole 24 Ore del 7 maggio scorso]. E' lo stesso Dave Ulrich, d'altra parte, a invitarci a disegnare già più di dieci anni fa la natura del profondo cambiamento della Funzione, prospettando l'ormai nota evoluzione "multi-ruolo", e a discutere meno e fare di più sul punto: "Stop talking about being a business partner and do it" [Human Resources Champion, Harvard Business School Press, Boston 1997]. La risultante di questo incrocio è altrettanto cruciale per comprendere se le Direzioni Risorse Umane riusciranno a dare un contributo importante per gestire quelle "priorità" su cui si registrano opinioni convergenti da più parti: gestione dei talenti e successioni manageriali, invecchiamento e diversity management, knowledge e comunicazione interna, worklife balance e cambiamento sonoquelle più "ricorrenti". A nostro modo di vedere ne rimane, però, sempre un'altra, forse ritenuta meno strategica perché non eccitante al pari delle altre o perché considerata di poco aiuto per far entrare le Direzioni Risorse Umane a pieno titolo nella strategic room della gestione del business. Di che si tratta? Molto semplicemente della priorità di spendere tempo, valori, competenze e leadership per "educare" i capi -a qualunque livello- a gestire in modo "sostenibile" le persone per sviluppare motivazione e benessere individuale e sociale. Ma questa è una priorità che spesso -seppur attività ricompresa, secondo il pensiero richiamato, nel ruolo di Employee Champion della Funzione molto spesso evocato- non è scritta nelle agende delle Direzioni Risorse Umane; forse perchè "non è richiesta"; ma anche perché è la più faticosa e talvolta la meno premiata. Una priorità che presuppone un lavoro "sotto traccia", un presidio costante della "gestione" e che per giunta non fa notizia. Anzi, crea spesso "prese di distanza" e la percezione di essere considerati un po' "fastidiosi" e "fuori tempo", quasi disadattati. Ed è anche una priorità che -malgrado lo shortismo imperante- non può consumarsi in una stagione e richiede piuttosto convinzioni profonde e tenacia. Siamo portati a ritenere, d'altra parte, che proprio qui si concentrano le maggiori tensioni e quei conflitti e paradossi, cui Ulrich dedica un intero paragrafo ("Paradoxes inherent in multiple HR roles"), che rendono difficile la vita concreta delle Direzioni Risorse Umane e di quanti ci lavorano. Siamo sempre meno certi, invece, che il bilanciamento delle diverse prospettive, aspettative e bisogni di manager e employees possa essere gestito e trovato con soddisfazione all'interno degli attuali sistemi di governance. La complessità e "liquidità" dell'economia e degli assetti produttivi, infatti, continuano a mostrarci che gli approcci semplificati "tengono" con molta difficoltà di fronte alla realtà e alle sue dinamiche. Nutriamo talvolta dei dubbi sull'efficacia di una visione che riconduce la gestione delle risorse umane (e la sua configurazione organizzativa) a un processo di management che postula la sua chiusura entro le dinamiche organizzative e i confini propri di una ricerca di equilibrio tra gli interessi di shareholder, clienti, management e dipendenti. Ci domandiamo allora se siano maturi i tempi per riflettere e discutere se, ed eventualmente come, si possa essere così ambiziosi da poter assumere un ruolo (rileggendo questa Funzione alla luce dei profondi cambiamenti in atto e delle crescenti tensioni nel sistema economico-sociale) di stakeholder partner. E' del tutto evidente come a questo punto il peso della variabile "personalità", più sopra richiamato, aumenti di consistenza. Nel discutere di questo, magari potremmo davvero scoprire ambiti ed esigenze tali da far immaginare un ruolo e una Funzione "al di sopra"; un ruolo "indipendente" che aiuti imprenditori, manager, collaboratori e tutti gli altri e sempre più numerosi stakeholder a far convivere e rendere "sostenibili" nel tempo, da un lato, i business plan e, dall'altro, i progetti delle sempre più numerose "soggettività" che ruotano attorno alla gestione del business. Insomma, ci domandiamo se il modello attuale non sia già troppo "stretto" per assicurare all'organo di gestione dell'impresa la giusta e necessaria visibilità e capacità di intervento sul fattore "più critico" per il business e per la società nel suo insieme. Ci sono quella consapevolezza e quella autorevolezza necessarie per avviare una discussione in tale direzione, ponendo nell'agenda del dibattito sull'evoluzione dei modelli di gestione dell'impresa "responsabile" e delle Direzioni Risorse Umane questa impegnativa prospettiva di aggiornamento della governance? Riconosciamo che il rischio di essere considerati "eretici" o "fuori di testa" è alto!

 

 

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