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     n. 8 anno 2007

Comportamenti opportunistici e cooperativi

di Gabriele Gabrielli - Docente Università LUISS Guido Car

Nelle molteplici interazioni sociali quotidiane che abbiamo e nei contesti di lavoro ci troviamo continuamente a dover decidere se assumere un comportamento che tenga maggiormente conto della nostra convenienza o dell’interesse più generale. In altre parole valutiamo sempre le decisioni che prendiamo in questi termini. Qualche volta pensiamo più al nostro tornaconto mentre in altre circostanze facciamo diversamente; prevale, cioè, la volontà di prestar fede a quanto abbiamo appreso in famiglia, a scuola, in azienda; pensiamo cioè che non sempre quella dell’opportunismo può essere la “bussola” per il nostro agire. Qualche volta, quindi, siamo disponibili a dare meno valore alla nostra personale convenienza a vantaggio di quello che crediamo sia giusto fare perché coerente con i valori in cui crediamo o a vantaggio di un comportamento che riteniamo onesto e dovuto nei riguardi del team in cui lavoriamo. Facciamo un esempio. Siamo in una riunione in occasione della quale ascoltiamo il dibattito su una questione e l’emergere di una posizione molto critica riguardo alla decisione presa da un nostro collega non presente all’incontro. Il collega assente è anche quello con il quale “ce la battiamo” per una importante promozione. Il nostro capo sta valutando il da farsi. Le critiche mosse all’operato del nostro “collega-concorrente” sono molto dure; sappiamo però che alcuni presupposti di questa valutazione che è emersa in presenza di alcuni importanti dirigenti che possono anche “avere voce in capitolo” sulla decisione che il nostro capo assumerà in merito alla promozione, sono stati mal rappresentati e che sarebbe necessaria qualche precisazione. Noi però non abbiamo titolo per intervenire nel merito in quanto si tratta di un progetto che non seguiamo direttamente ma che è uno di quelli, comunque, seguiti dal gruppo in cui lavoro. Cosa facciamo? Ce ne stiamo zitti? Opportunisticamente ci converrebbe, perché il giudizio espresso sul collega potrebbe tornarci utile in quanto potrebbe orientare l’azienda a promuovere noi anziché il collega (social exchange theory). Del resto, anche se volessimo (ci suggerisce una “vocina”), non avremmo nemmeno la competenza per dibattere un progetto che non conosciamo a fondo. Però ci sono delle precisazioni da fare che potrebbero forse revocare in dubbio la complessiva valutazione espressa durante la riunione. Che fare dunque? Riteniamo che stare zitti non sia un comportamento leale verso il team e verso l’azienda? Portiamo a casa il possibile vantaggio personale da questa situazione che non abbiamo creato seguendo la “scelta razionale” o preferiamo agire in coerenza con i principi e valori di lealtà verso il gruppo in cui crediamo (collective action theory) e su cui il nostro capo si è sempre impegnato anche personalmente? Anche negli ambienti di lavoro questa lotta tra il prevalere di comportamenti opportunistici o di comportamenti cooperativi è continua. I primi si fondano sul calcolo e privilegiano normalmente il breve periodo; i secondi poggiano sull’osservanza di norme sociali e privilegiano più una prospettiva di medio-lungo periodo fondata sulla “fiducia”. Un bell’articolo di Francesco Daveri pubblicato su Il Sole 24Ore del 30 settembre u.s. [Perché fidarsi della fiducia], che commenta alcuni recenti studi e ricerche empiriche su questo tema complesso (dove “danzano” molte teorie, che richiamiamo tra parentesi), ci ricorda come la spiegazione di questi comportamenti cooperativi continui a impegnare economisti e scienziati sociali. Perché malgrado si possa pensare diversamente, ossia che ci si aspetti il prevalere di comportamenti opportunistici, le indagini su questo punto testimoniano invece come ci siano fattori diversi dal calcolo opportunistico che giocano un ruolo determinante nel suggerire comportamenti di tipo cooperativo e improntati alla fiducia. Tra questi per esempio viene ricordata la “reputazione”, ossia –in senso economico- il guadagno maggiore che si avrebbe in futuro sacrificando ora la prospettiva più individualista sull’altare della cooperazione; circostanza questa che ci farebbe guadagnare la fiducia degli altri e in reputazione. Questa ci pare già una buona notizia. Ve ne è però anche un’altra ricordata dal contributo citato, ossia che le simulazioni effettuate indicano che i comportamenti cooperativi vengono messi in atto anche quando le persone sanno che il loro comportamento non avrà ripercussioni nel futuro. Qui entrano in gioco allora altre risposte a questo comportamento inaspettato come quelle del valore delle norme sociali, della cultura e dei valori in cui si crede. E, aggiungiamo, del valore della testimonianza. Quest’ultima, infatti, ossia la concreta visibilità di esempi di comportamenti non opportunistici, aiuta a diffondere e sostenere l’instaurarsi di un clima di fiducia. Insomma, come affermato dalla teoria della social contagion, agire in senso cooperativo può essere contagioso!

 

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